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‘Ricordo le stelle come tetto e lo sfondo di montagne’

Tocca a un ex giocatore e a un ex dirigente aprire l'album dei ricordi legato allo stadio

Una via percorsa da migliaia e migliaia di persone ogni anno (Ti-Press)

Tocca a un ex giocatore e a un ex dirigente aprire l'album dei ricordi legato allo stadio

8 aprile 2021
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Un cielo di stelle come tetto. Se la ricorda (anche) ancora così la Valascia Cesare Zamberlani. Per tutti, semplicemente, ‘Kuki’. Perché lui, la maglia dell’Ambrì Piotta, l’ha indossata sia sotto le volte di legno dello stadio, sia prima, quando ancora un tetto non c’era. E le partite rischiavano allora di protrarsi fino a notte fonda causa qualche nevicata. O magari non si disputavano nemmeno se la meteorologia faceva i capricci per davvero. «Altri tempi – esordisce l’ex attaccante biancoblù, ora 63enne –. Ed era tutta un’altra cosa quando ti trovavi sul ghiaccio, perché attorno, anziché gradinate e tribune, c’era la cornice delle montagne, col Monte Pettine imbiancato dalla neve, e sopra un cielo stellato che rendevano ancora più affascinante il contesto. Quei colori non li scorderò mai. Ma diverso, quel contesto, lo era anche per quel che concerne la cornice di pubblico. Ricordi che ripassano davanti ai miei occhi come un film anche oggi, tutte le volte che per un motivo o per l’altro vado alla pista: ogni volta che varco quel cancello, rimasto lo stesso di allora, è come un tuffo nel passato e torno a riprovare un po’ di quelle sensazioni d’un tempo. E l’odore dell’ammoniaca, oggi come allora, ti riempie i polmoni».

Il pericolo scampato, per puro caso, della partita a Mezzovico

Tolte la cornice di stelle e le montagne attorno alla pista, cosa è cambiato? «Beh, con la copertura della pista sono cambiate parecchie cose. A cominciare da un’accresciuta protezione della superficie ghiacciata. Allenarsi in quelle condizioni, poi, era tutta un’altra storia: nemmeno ora in inverno ci sono temperature elevate, ma un tempo, quando la pista il tetto ancora non ce l’aveva, capitava spesso di allenarci o giocare in condizioni estreme, con temperature più che rigide. E in più, la copertura ha messo fine all’incognita meteo: non ci sarebbero più state partite annullate causa impraticabilità della pista. Un’innovazione semplice, niente di rivoluzionario, ma estremamente funzionale per rispondere alle esigenze della società». Smessi i panni del giocatore, Zamberlani si è poi dedicato al commercio dei vini, aprendo un’enoteca a Piotta, poco distante dalla Valascia: «E da qui passano regolarmente parecchi forestieri che vengono apposta per vedere l’Ambrì Piotta e la Valascia. C’era addirittura un gruppo di finlandesi che veniva tre-quattro volte l’anno proprio per seguire le partite e vivere il clima della Valascia. Questo per dire che malgrado tutti i suoi difetti, tra il freddo e il mediocre comfort, lo stadio ha saputo mantenere fino all'ultimo il suo fascino».

‘Nonostante i suoi difetti, lo stadio ha saputo mantenere fino all'ultimo il suo fascino’

Nella sua chiacchierata, Zamberlani sfoglia una pagina dell’album dei ricordi dell’Ambrì Piotta che per puro caso (o quasi) non andò a finire tragicamente: «Ovviamente, ai tempi della Valascia non ancora coperta, molto dipendeva dalla meteo. Ricordo l’anno del mio esordio in prima squadra (la stagione 1977/78, ndr), quando si giocavano le giornate decisive per la nostra permanenza nel massimo campionato. Per salvarci dovevamo prima di tutto imporci ad Arosa, per poi vincere le partite successive, anzitutto cercando l'impresa a Bienne prima, e mettendo sotto il Sierre in casa poi. E vista l'importanza della partita con i vallesani avevamo già prenotato il palazzetto del ghiaccio (coperto) di Mezzovico onde evitare brutte sorprese dalla meteo. Ma le cose andarono diversamente: nei Grigioni, sul parziale di 4-1 per noi, l'arbitro, un grigionese, decretò la sospensione della partita causa neve (più nevischio portato dal vento che altro...), rinviandola di due settimane. La successiva sconfitta a Bienne e il k.o. nella replica di Arosa (6-2) ufficializzarono la nostra retrocessione e così, per evitare inutili spese, si decise di cancellare la prenotazione di Mezzovico e riprogrammare la partita alla Valascia. Quella sera di neve ne era caduta abbastanza ad Ambrì, al punto che la sfida andata in scena alla Valascia era durata un’eternità per le continue pause per ripulire la superficie ghiacciata. Ma fu anche una vera fortuna che non fossimo andati a giocarla a Mezzovico, perché quella notte (quella sul 12 febbraio 1978, ndr) il tetto del palazzetto di Mezzovico crollò sotto la coltre di neve caduta dal cielo!».

Adesso però è tempo di voltare ancora una volta pagina e spegnere definitivamente le luci sulla Valascia… «Ammetto di aver provato un pizzico di nostalgia quando si è iniziato a parlare della nuova pista. Sono cresciuto alla Valascia e quella pista resterà per sempre nel mio cuore. Ma andando a visitare il cantiere ancora nelle scorse settimane ho avuto modo di fare un po’ pace con quel sentimento nostalgico: anche il nuovo palazzetto riprende a grandi linee la silhouette della Valascia, in particolare per le dimensioni contenute del progetto e la vicinanza degli spalti al ghiaccio, e in cuor mio mi auguro che ciò possa favorire a ricreare quell’ambiente unico che si respirava sulle gradinate del vecchio stadio».

I ricordi, quelli di Kuki Zamberlani e di tanti altri, giocatori e tifosi, che hanno popolato la Valascia, non cesseranno di esistere una volta chiuso per sempre quel cancello: «No, il passato non si cancella, nemmeno chiudendo per sempre una porta o dismettendo l’impianto. Quello della Valascia è un ricordo che resterà per sempre».

Giuseppe Fransioli

‘Con l'incognita meteo sempre in agguato’

La Valascia, senza e con il tetto, è stata una sorta di seconda casa per Giuseppe Fransioli. «Effettivamente si può quasi dire così – confida con un largo sorriso l'oggi 84enne ex buralista postale di Ambrì, papà del mitico Gabriele, ‘Vecio’, storico capitano dell’Ambrì Piotta –. Come buralista postale di Ambrì ho preso servizio nel 1964, e l’anno dopo sono entrato a far parte del comitato della società, come segretario e cassiere, carica che ho tenuto per qualche annetto. In tutto ne ho fatti ben venticinque: era il 1989 quando mi sono deciso a passare il testimone al mio successore!».

Diciannovemila spettatori con due sole partite a cielo aperto

Giuseppe Fransioli ha dunque vissuto nei panni del membro di comitato il prima e dopo la posa della copertura sulla Valascia. E come era il ‘prima’? «Era logicamente tutto parecchio diverso da oggi. Certo, faceva più freddo e c’era sempre l’incognita della meteo, col rischio di dover annullare qualche partita all'ultimo minuto sempre in agguato, ma in compenso c’era uno spettacolare tetto di stelle e non c'erano limitazioni per il pubblico dettate dalle dimensioni dell’infrastruttura... Questo permetteva praticamente a chiunque lo volesse di assistere alle partite casalinghe». Il ‘tutto esaurito’, insomma, era un concetto sconosciuto a quei tempi, par di capire… «Già, al punto che con sole due partite, una contro lo Chaux-de-Fonds e poi, ovviamente un derby con il Lugano, un anno avevamo raggiunto un’affluenza complessiva di diciannovemila persone, una cifra impensabile oggigiorno. Era l’inizio degli Anni Settanta, e allora a vestire la maglia biancoblù c’era tale Andy Bathgate, il fenomeno canadese capace di mobilitare autentiche folle. A quei tempi l’area attorno alla pista non era cintata, cosa che consentiva alla gente di trovare spazio un po’ dappertutto, fin sotto la pineta che delimita il pendio a monte della pista. È anche vero che a quei tempi non c’erano quegli standard indispensabili in fatto di sicurezza, né erano richiesti: tutto era un po’ più alla buona, come si suol dire». 

Spesso, a quei tempi, come accennato poc'anzi, si doveva però appunto fare i conti con le bizze della meteo. «Ormai questi erano gli inevitabili inconvenienti di giocare su una pista a cielo aperto. Inconvenienti con cui siamo stati confrontati praticamente fino a inizio Anni Ottanta. A volte cercavamo di speculare fino all’ultimo, nella speranza che la partita potesse svolgersi regolarmente, ma poi, durante la stessa, capitava non di rado che si dovesse interrompere il gioco per pulire la superficie ghiacciata, o, nel peggiore dei casi, di sospenderla e rimandarla a un’altra data. Ricordo anche alcune copiose nevicate di gennaio e febbraio degli Anni Settanta, così abbondanti da creare qualche timore per il pericolo di valanghe. Una volta ci è addirittura capitato di giocare una partita con condizioni al limite del consentito. Le abbondanti nevicate ponevano pure parecchi problemi per quel che concerne l’affluenza del pubblico a bordo pista: pure in questo caso confidavamo, speculando, fino all’ultimo nella clemenza della meteo».

‘Questa pista ha sempre avuto un ruolo centrale nella mia vita’

Anche dopo aver passato il testimone in seno al comitato, Giuseppe Fransioli la strada della Valascia non l’ha certo dimenticata. Nemmeno quest'anno, in cui la pandemia ha costretto i tifosi a restare all'esterno dell'impianto in quella che è stata la sua ultima stagione. «Da tifoso, e in qualità di uno dei pochi membri onorari ancora in vita della società, negli anni ho continuato a seguire regolarmente le partite dell’Ambrì Piotta. E l’ho fatto anche questa stagione: sarò stato a vedere tre-quattro partite, prima che le autorità decretassero la chiusura degli stadi al pubblico. La Valascia ha sempre avuto un ruolo centrale nella mia vita, e con la mia nipotina, ancora l’altro giorno sono andato ad assistere a un allenamento della prima squadra. Una sorta di ultimo saluto allo stadio prima della sua chiusura. Mesto, ovviamente: è un vero peccato che la gloriosa Valascia se ne sia dovuta andare senza il saluto del pubblico. Per ventott’anni sono pure stato municipale a Quinto, e in qualità di presidente del consorzio ripari valangari sono stato coinvolto per la costruzione di ripari e dighe di contenimento a salvaguardia anche della Valascia. In pratica abbiamo puntellato tutta la sponda destra della valle; la costruzione dell'ultima diga di contenimento in quella zona l’abbiamo portata a termine attorno al 1989: quella struttura permetteva di garantire una certa sicurezza contro il pericolo delle valanghe».

Ironia della sorte, proprio il pericolo valangario è però stato all’origine della decisione (imposta) di cambiare ‘location’ per il nuovo stadio… «Evidentemente negli anni sono state riviste le norme di sicurezza, tenendo in considerazione anche l’affluenza allo stadio per questa nuova valutazione».