CICLISMO

75 anni di Eddy Merckx, frammenti di un Cannibale

Nella memoria di chi le ha vissute, le vittorie del campione belga (445 da professionista) segnano il passaggio dalla televisione in bianconero a quella a colori

20 giugno 2020
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Nel mondo tecnologico e digitale di questo inizio secolo, l’universo televisivo è scandito da sigle spesso incomprensibili (3D, QLed, 4K, Uhd…) per celebrare standard qualitativi sempre più elevati. Ci si scorda spesso, tuttavia, che fino a mezzo secolo fa le immagini erano ancora in bianco e nero. Due sono gli avvenimenti sportivi che nella mia memoria associo all’avvento del colore, entrambi vissuti a casa di mio zio (su un apparecchio dotato di telecomando!): il 19-1 subito contro la Cecoslovacchia dalla Nazionale svizzera di hockey ai Mondiali del gruppo A a Praga del 1972 e i Mondiali di ciclismo dell’anno prima a Mendrisio, con tanto di corsa liberatoria in giardino a seguito dello sprint che aveva visto Eddy Merckx trionfare per la seconda volta dopo il successo iridato del 1967 a Heerlen. A quei tempi Merckx era già il Cannibale, soprannome ereditato dopo il Tour de France del 1969 (venti giorni in maglia gialla, vantaggio di 17’54” sul secondo classificato, record di scalata al Galibier, vittoria nelle classifiche Gpm, punti, combattività, combinata e squadre…) e si sa come i ragazzini si innamorino in maniera quasi inevitabile di chi pare possedere poteri soprannaturali. Quel ciclista che mezzo secolo fa sembrava (e molto spesso era) imbattibile, quest’oggi spegnerà 75 candeline e lo farà nell’intimità della sua famiglia. «Ci saranno mia figlia e i miei nipoti, naturalmente mia moglie, un’amica e mia sorella». Nulla di speciale, dunque, per celebrare colui che è stato il più grande ciclista di tutti i tempi. E che di pedalare proprio non ha intenzione di smettere. Nemmeno dopo il brutto incidente dello scorso 13 ottobre, quando a causa di una caduta era stato ricoverato per alcuni giorni in terapia intensiva… “Dopo l’incidente, adesso sto bene. Non posso lamentarmi, al momento attuale nessuno deve preoccuparsi per me. Ho ripreso ad andare in bicicletta e lo faccio spesso. Esco due o tre volte alla settimana con un chilometraggio tra i 50 e i 70 km a botta”.

Oltre 500 vittorie

D’altra parte, la bicicletta è sempre stata la sua vita. Dopo aver provato con calcio e pugilato, a otto anni ha scelto le due ruote, scelta per la quale lo sport tutto ringrazia. Il soprannome di Cannibale, coniato dalla figlia dodicenne del francese Christian Raymond, alla quale il padre aveva riferito che il belga «non ci lascia nemmeno le briciole», è forse il più azzeccato tra quelli che hanno accompagnato (e che continuano a farlo) la carriera di molti sportivi, per quanto il diretto interessato non lo abbia mai amato particolarmente. Da ragazzino fino al 1978, data del suo ritiro, Merckx ha preso parte a 1800 corse su strada (e tralasciamo la carriera in pista e nel ciclocross), vincendone addirittura 525, 445 tra i professionisti. Il suo palmarès è sconfinato. Ha vinto cinque volte il Tour de France, cinque volte il Giro d’Italia, una volta la Vuelta ed è l’unico ad aver fatto “quaterna” aggiungendo alle tre corse di tre settimane, anche il Tour de Suisse. Ma se al giorno d’oggi viene ricordato soprattutto per i suoi exploit nei grandi giri, nel corso dei primi anni di carriera veniva considerato un classicista. Il belga si trovava a suo agio sulle lunghe salite alpine, dolomitiche e pirenaiche, come nelle prove di un solo giorno. Si è infatti aggiudicato 27 classiche, 19 delle quali “monumenti” (7 Sanremo, 5 Liegi, 3 Roubaix, 2 Fiandre, 2 Lombardia, oltre a 3 Frecce, 3 Gand - Wevelgem e 2 Amstel), dimostrando di essere il più forte negli arrivi allo sprint della Milano - Sanremo, come sulle côtes delle Ardenne, sui muri delle Fiandre o sulle pietre dell’Inferno del Nord.

Rimarrà probabilmente per sempre l’unico ciclista ad essersi imposto per due volte in tutte e cinque le classiche monumento (ai connazionali Rick van Looy e Roger de Vlaeminck era riuscita la “cinquina”, ma una sola volta), exploit praticamente irripetibile in un ciclismo che da anni ha imboccato la strada di una sempre più accentuata specializzazione, al punto che alcuni atleti si preparano solo in funzione di una gara specifica.

La macchia dell'esclusione dal Giro del 1969

Ma siccome è ancora vivo e vegeto, di Eddy Merckx non è obbligatorio tratteggiare un ricordo che si soffermi soltanto sui suoi sconfinati successi. La sua carriera è stata costellata anche da momenti difficili, alcuni dei quali sono ancora legati ai personali ricordi televisivi. Ad esempio quello del 1971, quando pochi mesi prima di trionfare ai Mondiali di Mendrisio, si era aggiudicato il Tour de France in gran parte grazie a una paurosa caduta nella discesa del Col de Menté. Sotto la bufera, era finito a terra assieme allo spagnolo Luis Ocaña (maglia gialla), ma mentre il belga era subito ripartito, l’iberico, appena rialzatosi, era stato centrato in pieno da Joop Zoetemelk e Joaquim Agostinho. Le ferite riportate lo avevano costretto ad alcuni giorni di ricovero in ospedale, con il conseguente forzato ritiro che aveva consegnato la maglia gialla di Parigi (per la terza volta) nelle mani di Merckx. A colori, invece, sono i ricordi del Tour 1975, con il pugno rifilato da uno spettatore in occasione dell’arrivo al Puy-de-Dôme e l’immagine di un Merckx in maglia iridata, dolorante per la frattura alla mandibola subita in una caduta nella cronometro di Châtel… «La decisione di non ritirarmi e di portare a termine le rimanenti quattro tappe, con conseguente assunzione di medicamenti, ha accorciato di alcuni anni la fine della mia carriera», avrebbe dichiarato negli anni seguenti. Non serbo alcun ricordo diretto di quello che è probabilmente stato il momento più buio della carriera del Cannibale: l’esclusione dal Giro d’Italia 1969 (era in maglia rosa e aveva vinto quattro tappe) a seguito di un controllo antidoping positivo alla fencamfamina al via della 17.ma frazione. Merckx professò la sua innocenza e i quotidiani belgi si schierarono compatti a fianco della tesi del complotto (in verità lo fecero anche molti quotidiani italiani). Le immagini dell’intervista di Sergio Zavoli a un Merckx in lacrime nella sua camera d’albergo, fecero il giro del mondo e vengono puntualmente riproposte ogni qual volta si ripercorre la carriera del Cannibale, per cui, pur sapendo di non averlo vissuto dal vivo (avevo appena sei anni), quello rimane il più nitido frammento personale della carriera del cannibale. Frammento che è giusto ricordare anche per rendere più umano un atleta troppo spesso ritenuto dotato di una forza innaturale: «Chi crede che io sia arrivato facilmente alle mie vittorie, non sa quanta sofferenza mi sono costate», ha sottolineato.

Fiammingo cresciuto nella periferia di Bruxelles, Merckx ha saputo come nessun altro catalizzare le simpatie di tutto il Belgio, colmando il fossato che divideva – e che sempre più divide adesso – le due anime linguistiche e culturali della nazione. A un Adriano de Zan che cercava di scoprire qualche segreto sulle origini del giovane non ancora ventunenne che si era appena aggiudicato la sua prima Milano - Sanremo, lui aveva prontamente risposto: «Sono belga e basta».

Anche per alcuni campioni di calcio serbo ricordi quasi solo in bianconero. Ma dopo Pelé c’è stato Cruijff, poi è arrivato Maradona e adesso ci sono Cristiano Ronaldo e, soprattutto, Messi. Nel ciclismo no. Un altro Merckx non ci sarà più. E proprio per questo mi rattrista la consapevolezza di possedere soltanto qualche frammento d’immagine di quella che è stata una grandezza incommensurabile.

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