laR+ IL COMMENTO

Vecchie glorie e sportwashing

Dietro i notevoli investimenti nel calcio in Arabia Saudita si nasconde probabilmente solo il tentativo di mascherare realtà scomode

In sintesi:
  • Alcuni temono che i soldi sauditi possano privare il calcio europeo dei suoi pezzi migliori, ma forse è una paura ingiustificata
  • In realtà, questa maxi operazione-simpatia serve soltanto a distogliere l'attenzione internazionale da problemi assai gravi, come il mancato rispetto - nei Paesi del Golfo - dei diritti umani
12 agosto 2023
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Nel corso di un’estate orfana di Europei e Mondiali, a tener banco fra gli appassionati di pallone è stata la nuova tendenza che vede giocatori e allenatori cedere alle lusinghe di sceicchi e raìs ed emigrare nel calcio dei Paesi del Golfo, specie quello saudita, tecnicamente poco sexy ma molto remunerativo. La reazione più diffusa, invero assai candida, è stata di sdegno. Il calcio è finito – dicono le anime belle – oggi contano soltanto i soldi. Come se non fosse sempre stato così. Come se fino a ieri si giocasse solo per una gazzosa o per la proverbiale e sopravvalutata maglia. Davanti a certe cifre, sarebbe in realtà da stolti declinare l’offerta, anche se si è già ricchi come Creso.

Altri invece, vedendo qualche vecchio campione – o presunto tale – far le valigie, lamentano il rischio di un impoverimento del nostro calcio. Che diritto hanno ’sti maledetti petrolieri – si chiedono – di portarci via la merce più pregiata? Dimenticano, le pittime, che questo è proprio il sistema con cui noi europei, per cent’anni, abbiamo razziato il meglio del calcio sudamericano e, più recentemente, di quello africano, che per via di ineluttabili leggi di mercato sono costretti a privarsi dei più promettenti virgulti quando ancora non sono del tutto germogliati.

A ogni modo, non mi pare che a far rotta per il Medio Oriente siano poi giocatori così forti. Il pioniere Cristiano Ronaldo, infatti, era già da un pezzo il ricordo di sé stesso. E anche il Pallone d’oro Benzema, trentaseienne, nel Vecchio continente aveva già dato e preso tutto. Per il resto, di autentici fuoriclasse al gate per Riad non ne vedo. Si tratta per lo più di mestieranti che fanno benissimo a cogliere al volo questi assist così invitanti.

Non è la prima volta, del resto, che il calcio europeo subisce questo falso saccheggio. Già mille anni fa, quand’ero bambino, ho visto Neeskens, Beckenbauer e George Best prendere il volo per gli Stati Uniti, dove si credeva che bastasse ingaggiare vecchie glorie per inculcare agli yankee l’amore per il soccer. Il tentativo ovviamente fallì: all’americano ‘vero’, al wasp per intenderci, il nostro gioco preferito non piacerà mai, nemmeno se si giocasse con la palla ovale. Anche oggi, a vedere le partite del campionato a stelle e strisce ci vanno le maestranze che parlano spagnolo.

Allo stesso modo gli arabi, oggi, dicono che stanno importando campioni con l’intento di sviluppare in quelle lande la passione per questo sport. Ma è una balla colossale: a riempire gli stadi non riusciranno mai, anche perché – demograficamente parlando – manca la massa critica. Al massimo potrebbero obbligare a occupare le tribune gli immigrati-schiavi che vivono laggiù, come abbiamo visto fare in Qatar lo scorso autunno. Quei poveretti, però, per la gran parte provengono da Paesi in cui si delira per cricket e hockey su prato, e non è certo ingozzando la gente di cibo che detesta che si riesce a farglielo amare.

La semplice verità è che tutta questa operazione ai tiranni locali serve solo per nascondere ciò che non è tollerabile, come il mancato rispetto dei diritti civili di donne, dissidenti e diversi di ogni tipo. Si chiama sportwashing, e funziona – anche alle nostre latitudini – grazie all’ingenuità di molti e alla complicità di chi ha il boccino in mano.

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