Commento

Caso Polanski, cosa ce ne facciamo di 'L'ufficiale e la spia'?

È possibile separare l'uomo dall'artista? E noi spettatori possiamo continuare a guardare e apprezzare le opere del regista polacco?

Senza parole (Keystone)
2 marzo 2020
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Che Roman Polanski sia uno dei migliori registi di sempre è cosa che nessuno mette in discussione; ‘L’ufficiale e la spia’, ci sono pochi dubbi. Ma premi e riconoscimenti, in quanto attestazioni pubbliche, non sono e non possono essere solo eventi artistici e così, alle polemiche per le candidature ai César, si sono aggiunte le proteste dentro e fuori la Salle Pleyel di Parigi dove venerdì sono stati consegnati i premi del cinema francese. E quando Polanski ha vinto il César per la miglior regia, l’attrice Adèle Haenel ha abbandonato la sala, seguita dalla regista Céline Sciamma, mentre la presentatrice della serata Florence Foresti non si è più presentata in scena.

Un atto di protesta che va innanzitutto rispettato e che afferma in modo netto una cosa molto semplice: quando si ha a che fare con abusi sessuali non si può, non si deve separare l’uomo dall’artista, il violentatore dal regista. Non è più Polanski, ma Violanski, come sintetizzato nei manifesti del movimento Osez le Feminisme. Impossibile guardare la sua ricostruzione del caso Dreyfus senza pensare alla modella tredicenne di cui Polanski abusò nel 1977 o all’attrice diciottenne violentata qualche anno prima nello chalet svizzero del regista. Si potrebbe ribattere che nel primo caso abbiamo un procedimento giudiziario gestito in maniera tutt’altro che limpida (e soprattutto per nulla rispettosa della vittima), mentre nel secondo abbiamo accuse emerse decenni dopo i fatti, non confermate e fermamente respinte da Polanski. Ma queste circostanze in realtà confermano il problema per cui Adèle Haenel ha lasciato la sala gridando “vergogna!”: finora quello degli abusi sessuali era un non problema, vicende su cui vale la pena indagare solo per qualche tornaconto, non certo per giustizia verso le vittime che anche per questo preferiscono restare in silenzio. Non tanto, o non solo, Polanski – che non a caso quando una decina di anni fa venne arrestato a Zurigo ricevette la solidarietà internazionale – ma anche e soprattutto l’Académie che assegna i César e che, più che in sofisticati ragionamenti sulla possibilità e la liceità di separare l’uomo dall’artista, si è probabilmente limitata a fare spallucce.

Académie che, con le dimissioni del comitato direttivo arrivate un paio di settimane fa, sembra voler quantomeno affrontare il problema. E noi spettatori? Possiamo continuare a guardare, e apprezzare, ‘L’ufficiale e la spia’, ‘Chinatown’, ‘Rosemary’s Baby’, ‘Carnage’ e gli altri film di Polanski? Ognuno risponda in autonomia, tenendo tuttavia ben presente una cosa: se è vero che non sempre è possibile separare etica ed estetica, e del resto l’arte se ha un senso è proprio quello di guardare al mondo e non certo di isolarsi da esso, è altrettanto vero che non possiamo e dobbiamo chiedere all’arte di dare quella giustizia che come società non siamo riusciti a ristabilire.

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