Commento

Cercare di vivere insieme, andando nella stessa direzione

Il mondo sta cambiando molto velocemente, ma la domanda resta una: come gestire i conflitti (e l’odio che si portano addosso)?

Ti-Press
8 febbraio 2019
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C’è un mondo che cerca di inventarsi. Proliferano le denominazioni: un’altra economia, economia sociale e solidale, sobrietà volontaria, sostenibilità, decrescita, commercio equo, ecologia politica, populismo, sovranismo, democrazia radicale, riscoperta dei valori cristiani, rivalutazione di Marx.

Affiora allora una domanda: tutte queste esperienze, aspirazioni, risurrezioni, andranno almeno nella stessa direzione, quella del bene dell’uma­nità? Rimane una sola risposta: saranno all’altezza della sfida enorme che si pone se riusciranno almeno a capire che possono avere una potenziale unità di intenti. Quale? È emersa un’altra denominazione, non nuova, che dovrebbe simbolizzare questa unità, riunendo passioni ed energie: convivialismo. In parole antiche: cercare di vivere assieme.

Per certi versi è quanto cerca di proporre alle religioni papa Francesco (tacciato però subito di sincretismo o perdita di identità dai cattolici monolitici, emblematicamente imperanti negli Stati Uniti). Oppure quanto immaginano di realizzare alcuni capi di Stato o politici, anche nostrani, con una sorta di miscuglio delle grandi ideologie (liberalismo, socialismo, corporativismo).

Forse va in questa direzione persino un ex responsabile della Banca nazionale svizzera ed oggi capo di una delle maggiori società di investimento nel mondo (alludiamo a Philipp Hildebrand che in una recente intervista al ‘Tages–Anzeiger’ suggerisce di leggere Marx perché “descrive esattamente la situazione attuale” e ci insegna dove stanno gli errori da evitare. Aggiungendo: “Se per molti elettori il capitalismo non funziona, come dimostra il populismo crescente, ci dev’essere un problema”.

In questi ripensamenti rimane comunque un principio di fondo che non si vuol mettere in discussione: solo la crescita, infinita e indefinita, riesce a disinnescare il conflitto tra gli uomini e i popoli, tra capitale e lavoro, e a portare progresso. La faccenda non si fa quindi molto speranzosa per l’umanità. Perché i limiti ci sono e si impongono sempre più drammaticamente e niente è infinito sul pianeta. E sono proprio i limiti che generano conflitti tra gli uomini, con la natura e nell’uomo con se stesso. E perché il progresso non può essere solo economico.

Rimane dunque sempre la domanda: come gestire i conflitti (e l’odio che si portano addosso)? Nella realtà si risponde in tre modi: creando un nemico esterno (anche con una guerra commerciale) o un nemico interno (che è l’altro, il forestiero), fuga per la tangente dalle proprie responsabilità; instaurando una gerarchia di legittimità e indegnità, di riverenze e disprezzo, fondata sul soldo, sul “quanto vali” monetariamente; reclamando (o persino imponendo) democrazia. Quest’ultima dovrebbe per definizione evitare sbocchi su regressioni dispotiche o fascisteggianti. Ma non è certo.

L’inventività democratica (come il convivialismo) non può essere alimentata da un’economia fondata sul massimo profitto, che è discriminante; su una finanza tesa solo all’accumulo di capitale, che è fucina di enormi ingiustizie; sull’asservimento a una potenza straniera che impone come comportarsi, magari con il ricatto della signoria universale della sua moneta, che è nuova forma di feudalesimo.

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