Commento

Il lusso se ne va, i cittadini restano

Le politiche pubbliche di fronte ai cambiamenti del contesto economico e fiscale. Comuni e Cantone alla prova.

La sede 'luxury' di Cadempiono
(Ti-Press)
24 novembre 2018
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Non è detto che gli obiettivi delle aziende siano in linea con quelli della cittadinanza. Ciò nonostante le strategie d’investimento o di disinvestimento delle grandi firme possono avere una considerevole influenza sulla qualità di vita della popolazione che le accoglie. Che sia in termini ecologici, di possibilità d’impiego, oppure a livello di gettito fiscale, appare piuttosto evidente che le decisioni di alcune società transnazionali, in un sistema come il nostro, acquisiscono facilmente una rilevanza sistemica. A dimostrarlo in questi giorni di preventivi 2019 sono i vari Comuni (Vezia, Cadempino, Bioggio e Sant’Antonino) toccati dalla delocalizzazione parziale della Luxury Goods. Stiamo parlando del principale contribuente per il Cantone tra le persone giuridiche; di un settore, quello della moda, che complessivamente lascia nelle casse pubbliche circa 90 milioni all’anno. Ciò che inizialmente sembrava soltanto un minor ricavo d’imposta alla fonte, visto il trasferimento in Italia di 150 posti di lavoro, diventa ora, conti alla mano, un problema assai più grosso: senza conferme ufficiali da parte del gruppo Kering, ma stando alle proiezioni dei vari Municipi implicati, si può desumere che il gruppo stia valutando di “spostare” una fetta importante della propria fatturazione nei Paesi in cui le merci vengono prodotte (Italia e Francia), adeguandosi così a tutta una serie di pressioni internazionali scaturite all’interno del nuovo paradigma fiscale ‘Beps’ (Base erosion profit shifting). Per l’erario cantonale verranno dunque a mancare importanti risorse (si parla di venti milioni). Ed è a questa decisione di ristrutturazione aziendale a cui quei Comuni, “beati” dall’arrivo del lusso vent’anni fa, devono ora adattarsi. Cadempino ha annunciato un incremento di nove punti del moltiplicatore comunale (addirittura retroattivo dal 1° gennaio 2018). A Sant’Antonino pare che il moltiplicatore non si tocchi, ma è stata prospettata tutta una serie di tagli alla spesa: riduzione degli investimenti, drastica diminuzione dei contributi a enti, società e associazioni locali e minori accantonamenti per lavori di manutenzione (fognature, strade e vegetazione), tra le varie misure di risparmio. Con all’orizzonte una riforma fiscale federale ad ampio raggio (la Rffa), che porrà in forte dubbio la permanenza sul nostro territorio di queste società che non godranno più dello statuto speciale che le ha portate qui, si aggiunge pure la preoccupazione per le finanze delle principali città del cantone nelle quali di queste società a statuto speciale non ce ne sono. Questo in virtù della proposta di ridurre dal 9 al 6 per cento l’imposta sull’utile di tutte le aziende avanzata dal direttore del Dfe Christian Vitta. Per questi agglomerati ciò vorrà dire perdere un terzo del gettito delle persone giuridiche; a Lugano per esempio minori entrate per 25 milioni di franchi. Non a caso si fa strada in queste ore l’iniziativa “Per comuni forti” (che al Consiglio di Stato piace poco), che mette in discussione la ripartizione di oneri finanziari tra gli enti comunali e il Cantone.

La riflessione conclusiva è di natura politica: se lo Stato (comunale o cantonale che sia) come garante dei servizi e della qualità di vita della cittadinanza è alle nostre latitudini una condizione sine qua non, non risulta accettabile che sia il moltiplicatore su o giù di qualche punto lo strumento che possa o debba determinare il grado di benessere della popolazione. Ci sono delle condizioni indispensabili (sanità, educazione, previdenza, infrastruttura, accesso al consumo) che non possono o almeno non dovrebbero in nessun modo diventare “ostaggi” né delle strategie aziendali, né ancor meno di quelle fiscali.

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