Alla finestra

Il mio miglior amico non esiste

Negli Usa e in Gran Bretagna si vuole includere ogni bambino nel gruppo vietando l'idea di “miglior amico”. Una prevaricazione, come i temi sul miglior amico?

23 febbraio 2018
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Ricordo ancora con fastidio misto a pena, ad ogni rientro a scuola, le canoniche domande da tema scritto o da conversazione in lingua: “Dove sei stato/Che cosa hai fatto durante le vacanze?”. Impossibile, se non eri un frequentatore di Lenzerheide o Santa Margherita, sfuggire l’inquisizione con un “In nessun posto/Niente”; o un sincero, legittimo, verace “Ca... miei”. Ritorna con simile noia l’immagine di un prof. liceale che, chino sul registro, ogni anno infliggeva il supplizio dell’appello in cui specificare nome/cognome/professione del padre. Vietato svicolare con ironia: “Impollinatore, incantatore di serpenti, mozzo di Caronte”. Riemergono con la loro punta di spietatezza molesta pure i temi ricorrenti sul miglior amico, soprattuto se un giorno hai scoperto che il tuo miglior amico aveva scritto di un altro migliore di te; o se ti sei visto designato, con chissà quale imbarazzo, come il miglior amico di qualcuno della cui esistenza ti eri a malapena accorto.

È lunga la lista delle piccole ingiustizie, umiliazioni o forme d’insensibilità che ti può riservare la scuola. Leggere oggi che negli Usa e in Gran Bretagna ci si pone il problema d’includere ogni alunno, sfuggendo i riferimenti al miglior amico, non sembra deprecabile. Ma l’idea di proibirne il termine, o addirittura di dissuadere i bimbi dall’intrattenere rapporti esclusivi, mi pare cadere dall’alto come un’altra insensibile, paranoicamente buonista, prevaricazione adulta sul loro mondo.

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