Commento

Via la politica largo agli atleti

L’ombra invadente della politica è riuscita ad allungare la propria mano anche sulle Olimpiadi

9 febbraio 2018
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L’ombra invadente della politica è riuscita ad allungare la propria mano anche sulle Olimpiadi, per mezzo di tensioni che è però tempo di escludere dall’ambito sportivo nel quale si consuma da oggi un evento che reclama la propria estraneità a fatti che non siano gare, risultati, o record. È tempo di dare spazio e visibilità alla festa dello sport, declinata nei cinque cerchi simbolo dei continenti, colorati con le tinte che diedero vita a ogni bandiera in circolazione, quantomeno ai tempi di Pierre De Coubertin. Tempi che furono, e mai più saranno, questo è certo, anche se il tentativo di richiamare valori come fratellanza e rispetto è doveroso, ancorché un po’ retorico: non fosse che per prendere le distanze dal quadro politico in cui i Giochi si svolgono.

Pyeongchang apre i battenti e accoglie la festa dello sport invernale. Le giocatrici di hockey nordcoreane che la selezione sudcoreana è stata costretta ad abbracciare, in nome di una causa comune di forza maggiore, sono il tributo alla distensione tra due Paesi nemici, dato in pasto al mondo, sbandierato ai quattro venti – e ai cinque cerchi – con ovvie finalità promozionali. Ma senza convinzione autentica. Uno di quei segnali distensivi che lo sport saprebbe regalare anche senza forzature. Questo, ci sia concesso, è un po’ svilito – nella potenza del suo messaggio – dalla retorica propria alla politica, che oggi proviamo a ignorare. I Giochi sono intrattenimento, sport. E allora, che si restituisca la ribalta agli atleti.

Gli svizzeri sono tra i più decisi a volersene riappropriare. Avvolti nel bandierone olimpico, protetti dal freddo pungente dal tepore della divisa rossocrociata, guidati nella cerimonia d’apertura dei Giochi di Pyeongchang da un alfiere qualificato quale è Dario Cologna, gli atleti della delegazione rossocrociata hanno le carte in regola per essere protagonisti, dal punto di vista tecnico e dell’esperienza.

Campioni come lo stesso fondista della Val Monastero, oro a Vancouver e Sochi, Lara Gut in superG e discesa, Beat Feuz anch’egli nella libera, Wendy Holdener in slalom, Iouri Podladtchikov (al netto dell’infortunio che ne ha messo a rischio la partecipazione), o gli specialisti del curling, capaci di catalizzare l’interesse di un numero insospettabile di appassionati, sono frecce acuminate nella faretra di un Paese che alla volta della Corea è partito con la ferma intenzione di superare le undici medaglie della passata edizione, a Sochi (sette ori, due argenti e due bronzi), media dei metalli messi al collo dagli elvetici, tenuto conto delle precedenti quattro Olimpiadi invernali.

Il capo delegazione Ralph Stöckli si è detto fiero della sua squadra, forte di alcuni campioni già affermati – il citato Cologna, il quattro volte campione olimpico Simon Ammann – che in scia trascinano talenti dal futuro radioso – Nevin Galmarini nello snowboard, Alex Fiva e Fanny Smith nello skicross, per citarne alcuni – chiamati a contribuire alla causa comune rossocrociata e dare seguito a una tradizione di successi che reclama una replica degna degli atti precedenti, quelli che l’hanno resa invidiabile.

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