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Questione di cultura

C’è una guerra che si poteva evitare, specialmente in Europa dove si cerca dopo l’ultimo obbrobrio mondiale di costruire una convivenza pacifica e democratica. E la Svizzera, nel corso della sua esistenza secolare, ha sviluppato una sua cultura di convivenza, che è diventata un modello per l’Europa. Invidiato o più visceralmente sottovalutato, ma certamente non facile da capire sino in fondo perché non vissuto e non integrato in quello che chiamano il Dna delle persone. Non c’è nazionalismo in Svizzera, non c’è culto della personalità e dei leader. C’è invece una fisiologica resistenza al potere che diluiamo in un federalismo a più livelli, capillare come deve essere. E non abbiamo neppure una cultura politica della maggioranza, poiché siamo coscienti che le decisioni a maggioranza possono essere totalitarie, come diceva saggiamente il consigliere federale Georges-André Chevallaz. Oggi la neutralità è la via per risolvere un assurdo inutile conflitto. La difesa di un paese passa per la sua capacità culturale profonda e intelligente di prevenire ed evitare le guerre. La dissuasione non è solo un fattore militare e di forza ostentata, ma di cultura: dove le relazioni economiche sono ogni giorno valutate eticamente nel senso di facilitare rapporti amichevoli cercando di non dar campo libero a politiche aggressive, potenzialmente ostili alla convivenza e alla Cultura. Quella con la C maiuscola che tende a superare i nazionalismi e conferisce vera sovranità a ogni persona culturalmente responsabile e preparata. E ricordiamoci che rovesciare il male per quanto profondo in bene è sempre possibile. Del resto a che cosa serve nella cristiana Europa, credere nella Pasqua, nella riconciliazione, nella tensione dell’amore verso il nemico, se poi non si tenta di tradurlo nella vita quando serve veramente.

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