I dibattiti

Magistratura e metodi da Far West

(Ti-Press)

Come deputato con qualche anno di esperienza, nonché vicepresidente della Commissione Giustizia e diritti del Parlamento, ritengo sia necessario esprimere alcune considerazioni su quanto abbiamo letto in questi giorni sui quotidiani che getta discredito sulle persone e sulle Istituzioni, in primis sul Ministero pubblico. Non è mia intenzione entrare in polemiche che riguardano altri, ma sembra di essere tornati al Far West e non può essere condiviso.

Il dibattito che sta avendo luogo a mezzo stampa (ma anche con e-mail offensive e intimidatorie) a proposito dell’elezione di due magistrati in sostituzione delle procuratrici dimissionarie Alfier e Pedretti, ha sollevato una serie di quesiti certamente importanti e che meritano attenzione, ma nel contempo ha fatto emergere (nuovamente) gli interessi non sempre cristallini che si nascondono dietro alla cagnara, ossia il legame inopportuno tra il Ministero pubblico, qualche deputato e chi professionalmente si occupa di diritto penale nel suo studio privato. Qui sì che si vedono dei conflitti di interesse degni di essere esaminati.

A destare preoccupazione, più che il merito delle motivazioni, sono i toni e i metodi usati, decisamente inusuali. Soprattutto nell’articolo apparso su La Domenica del 3 marzo, ma non solo, si è travalicato di gran lunga il più che legittimo dovere di informazione, per sfociare nella cattiveria gratuita e nel voyeurismo, figlio residuale del peggior giornalismo ticinese, inaugurato nei decenni scorsi dal (fortunatamente) defunto giornale scandalistico Il Caffè. La tecnica è sempre la stessa, si costruisce o si inventa una rete di legami professionali e/o amorosi per insinuare il dubbio urbi et orbi, in modo che la gente venga indotta a credere che vi sia chissà quale intrigo o del fango. Poco importa se le cose stanno o non stanno veramente così o se hanno o non hanno a che fare con il tema in questione; le persone che non hanno alcuna colpa, vengono esposte al pubblico ludibrio e chissenefrega. L’obiettivo ultimo, in questo caso, è quello di screditare chi non è gradito a “quelli che contano” per favorirne altri, oppure cercare di intimorire chi è chiamato a scegliere. Questa modalità di affrontare temi importanti, come la qualità dei magistrati e le difficoltà oggettive di sottodotazione che sta vivendo il Ministero pubblico, è svilente per non dire disgustosa e certamente poco utile alla causa. Chiunque può esprimere un’opinione e anche dibattere, ci mancherebbe, ma dovrebbe innanzitutto essere scevro da interessi personali e in ogni caso garantire quel minimo di rispetto dovuto, in una società civile, alle persone che non hanno fatto proprio nulla di male. Ci si lamenta che sempre meno avvocati concorrono per i ruoli in Magistratura. Ma cosa si pretende se, come in questo caso, chi ha l’ardire di concorrere lo si infanga gratuitamente tirando in ballo anche le relazioni private?

In questi giorni, sfruttando l’agitazione del momento, in diversi ne hanno approfittato per proporre le loro variegate soluzioni, altri sono andati alla televisione e persino il responsabile del Dipartimento dal quale dipende l’organizzazione della Giustizia Norman Gobbi si è fatto vivo, dichiarando che “l’ha sempre detto che il sistema va rivisto” e che occorre riflettere sulla dotazione di personale. Siamo al mondo al contrario. Ma se il Procuratore Generale è da anni che glielo chiede e gli ha persino mandato ben due raccomandate per “mendicare” con urgenza almeno un modesto potenziamento amministrativo presso il Ministero pubblico e sta sempre aspettando una risposta. Di cosa stiamo parlando? In realtà la situazione attuale, sia logistica, sia di effettivi, che organizzativa, è la diretta conseguenza dello scarso interesse del quale ha goduto la Magistratura in questi anni da parte del Dipartimento preposto, che ha per contro privilegiato la polizia, gonfiandola a dismisura, in particolare ai vertici dei suoi uffici.

Lunedì si dovrà procedere verosimilmente all’elezione, dopo che alla Commissione Giustizia e diritti è stato chiesto proprio dai vertici del Ministero pubblico di fare in fretta, senza tergiversare. Dopodiché il cantiere, oramai fallito con la riforma Giustizia 2018, che è il vero tema, andrà ripreso e affrontato con tempestività e serietà.

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