L’OSPITE

La guerra di Israele e noi

(Keystone)

L’odio per l’ebreo ha radici remote. Accompagna gli snodi critici e le fratture sociali fin dall’antichità: guerre, epidemie, dissidi religiosi, calamità inspiegabili, recessioni economiche rovinose. L’ebreo diventa ogni volta il capro espiatorio ideale, l’ombra diabolica su cui scaricare cause e responsabilità. Il giudeo rappresenta il diverso da confinare nei ghetti; è per natura avido, profanatore di ostie, fomentatore di disordini, orditore di complotti, avvelenatore di pozzi e sorgenti. Per il nazismo era l’insetto nocivo da estirpare (“ausrotten”), per il fascismo un essere “asocievole per costituzione intrinseca”. La rivista ‘La difesa della razza’ diretta da Telesio Interlandi non esita a farsi soccorrere da Dante: “Sempre la confusion delle persone/ principio fu del mal della cittade”. Ha nemici ovunque e in ogni ambiente, dal commercio alle banche, dalla politica all’esercito (il caso Alfred Dreyfus, il capitano alsaziano accusato di alto tradimento). Agli occhi di Hitler ebraismo e marxismo camminano mano nella mano (“giudeo=bolscevico”), ma l’antisemitismo è presente anche in larghi strati del movimento operaio e sindacale, come incarnazione del grande capitale e della sete di denaro. Il saggista Gadi Luzzatto Voghera, in un suo volumetto pubblicato da Einaudi nel 2007, non ha esitato a parlare di “antisemitismo a sinistra”. Talvolta genera cortocircuiti totali, come ben vide Carlo Cattaneo nelle sue Interdizioni israelitiche (1835): “I nostri avi condannavano l’Ebreo a vivere di usura e baratti; e poi lo maledicevano come usurajo e barattiere”.

La Svizzera moderna non ha conosciuto la violenza dei pogrom e le deportazioni sistematiche attuate dai regimi totalitari. Non per questo la sua politica è stata esemplare nel favorire l’emancipazione della comunità ebraica, sia in campo civile che religioso. La Costituzione del 1848 non concedeva agli ebrei né la libertà di domicilio, né l’esercizio libero del culto. Solo lentamente, e fra mille titubanze, il legislatore riconobbe tali diritti nella seconda metà dell’Ottocento. Forse non è del tutto casuale che la prima iniziativa votata dal popolo nel 1893 riguardasse una questione collegata a una pratica semitica, ovvero la macellazione rituale. L’iniziativa, promossa dalla società per la protezione degli animali, dichiarava illecita la recisione della vena giugulare dell’animale (sgozzamento) che non fosse stato preventivamente stordito. La norma, accolta e inserita nella Costituzione federale, non fu approvata dai (pochissimi) cittadini ticinesi che si recarono alle urne. Disinteresse, indifferenza? Gazzetta Ticinese fece sua quest’ultima ipotesi a commento dei risultati: “Quali poi siano le conseguenze materiali di questo voto, noi crediamo che sian tali da non farci troppo impensierire, specialmente se sincere erano le proteste delle società protettrici degli animali di esser mosse soltanto da un sentimento umanitario. Ma ben altrimenti gravi sarebbero se la votazione di domenica segnasse un primo passo in una lotta antisemita, in una lotta tra razze, il che non vogliamo credere”. Non subito, ma qualche decennio dopo quel presentimento formulato sulle pagine del giornale sarebbe riemerso nella propaganda dell’ultradestra nazionalista (‘frontismo’) e tra i ranghi della ticinese Lega nazionale. A conferma che il veleno che si era insinuato nelle pieghe della società, della politica e dell’informazione non aveva incontrato sufficienti antidoti.

L’antisemitismo che ora sta rialzando la testa non rappresenta quindi una sorpresa; riaffiora non in modo plateale, come un rigurgito di neo-razzismo, ma attraverso episodi di insofferenza e di iniziative dissennate, com’è successo recentemente a Davos. Sta di fatto che lo Stato di Israele non può più contare, come sempre è accaduto nelle democrazie occidentali dal 1948, su un appoggio incondizionato (perfino l’amministrazione americana ha invitato alla moderazione). Certo, guai a cadere nella trappola della generalizzazione. Il mondo ebraico è multiforme e diviso al suo interno. L’attuale classe dirigente è contestata da buona parte dell’opinione pubblica del Paese, che non vede l’ora di destituirla. La scelta di affidare la soluzione solo alle armi ha aperto una voragine di orrori, nell’illusione che una volta svanita la polvere dal campo di battaglia potesse nascere una nuova era di pace e concordia. Sappiamo tutti che non sarà così, che l’odio rimarrà conficcato nelle menti per generazioni, pronto a riesplodere alla prima occasione. Ai crimini di Hamas del 7 ottobre è seguita una risposta-vendetta che ha raso al suolo un’intera regione, lasciando sul terreno migliaia di vittime innocenti. Il governo israeliano vincerà militarmente, ma non moralmente. Questa volta il premier Netanyahu ha dissipato il capitale di simpatie faticosamente accumulato nel secondo dopoguerra.

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