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Non mi piace, quindi non esiste

La negazione è la prima fase dell’elaborazione di un lutto, quella del rifiuto: un meccanismo di difesa psicologico che ci protegge inizialmente da una grande sofferenza. Chissà quale profondo lutto inconscio si cela dietro ai politici che, ad esempio, negano il preoccupante cambiamento climatico in corso? O che negano il fatto oggettivo che molte persone – spesso in giovane età – si ritrovano nella condizione di porsi delle domande sulla propria identità di genere?

Dispiace fare nomi, ma il trafiletto di Piero Marchesi sulla prima pagina de La Regione del 21 agosto merita non una (ottima quella di Alex Farinelli del giorno dopo sulla stessa testata), ma due, cento, mille reazioni. In poche righe il consigliere nazionale Udc è riuscito a “bullizzare” decine di migliaia di persone definendole vittime di «anomalie comportamentali» e ironizzando tristemente sulla delicata questione, paragonando la costruzione dell’identità di genere e sessuale di un/a giovane ragazzo/a con la presunta libertà di ognuno di sentirsi «cane, gatto o canarino» (sigh!).

E non causalmente, l’autore ha pensato bene di accostare questo tema con quello ecologico, definendo indirettamente come espressione dell’«estremismo climatico di sinistra» decine di migliaia di pubblicazioni scientifiche che lanciano l’allarme sulla necessità di agire urgentemente per arginare il cambiamento climatico indotto dalle attività umane in corso.

Destra o sinistra non c’entrano. Si tratta invece di scegliere coscientemente se negare la realtà o avere il coraggio e l’onestà morale di aprire gli occhi. Di affidarsi unicamente al buon senso (lo stesso che suggeriva per millenni che la Terra fosse piatta) evocato da Marchesi o considerare gli elementi riconosciuti attualmente dalla Comunità scientifica.

Poi, possiamo avere approcci e soluzioni diverse. Nel caso del cambiamento climatico, possiamo discutere se il nucleare è un’opzione per ridurre l’impatto del CO2 oppure no. Se si devono riempire le montagne di pannelli solari (su terreni naturali quasi gratuiti per gli imprenditori) o piuttosto usare le superfici urbane (pagando i proprietari privati) inutilizzate. Ma il primo indispensabile passo è quello di ammettere il problema, parlarne senza tabù e senza scivolare nel negazionismo.

Ci sono molti altri esempi di negazionismo politico: il più evidente per noi ticinesi è quello che tende a contraddire il fatto che il potere di acquisto nel nostro cantone è terribilmente inferiore che nel resto della Svizzera. Stipendi più bassi, premi di cassa malati più alti, polizze assicurative più alte, tasso di povertà maggiore. Tutti gli indicatori dicono la stessa cosa. Tuttavia, molti rappresentanti dell’economia e alcuni sparuti economisti continuano a ripeterci che non è poi così grave, che dipende, che non siamo poi messi così male. Il caffè costa meno a Lugano rispetto che a Zurigo e qui splende (quasi) sempre il sole. I ristoranti sono pieni, come diceva Silvio Berlusconi. Non c’è nessun problema.

E invece no. Perlomeno in politica, dovremmo davvero smettere di far finta che quello che non ci piace non esiste.

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