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Una proposta da tre in condotta

È in corso la raccolta delle firme a sostegno dell’iniziativa sulla neutralità, lanciata da un comitato vicino all’Udc e ispirata, come spesso è accaduto per altri temi forti di quel partito, dall’arguzia politica di Christoph Blocher. Il termine per la raccolta scadrà fra circa un anno, nel maggio del 2024. Normalmente né la politica né i media si occupano di un’iniziativa popolare prima che la raccolta delle firme sia conclusa. In questo caso invece se ne sta già discutendo con notevole intensità.

Probabilmente la ragione di questa immediata attenzione per l’iniziativa è la sua connessione con la drammatica attualità di una guerra che si è sviluppata, ancora una volta in Europa, dopo l’invasione russa del territorio ucraino e con la posizione assunta dal Consiglio federale in materia di sanzioni. Forse è però anche conseguenza di una scelta strategica dell’Udc stessa, che cerca di giustificare la sua non semplice posizione di solo partito svizzero – con quello comunista – che rifiuta espressioni di solidarietà verso il popolo ucraino, rilanciando quasi con violenza il tema della neutralità svizzera, cercando di farla passare per un valore identitario per nasconderne la sua vera caratteristica di strumento della nostra politica estera.

Il tema, anche se il suo lancio fosse solo frutto di una scelta tattica di quel partito, è comunque di grande interesse e merita un approfondimento, soprattutto per un motivo principale: l’iniziativa tenta infatti di sovvertire la distribuzione dei ruoli all’interno della nostra Confederazione fra il popolo, il parlamento e l’esecutivo, il Consiglio federale. Noi siamo una democrazia semi diretta: diretta, popolare, poiché i diritti di iniziativa e referendum sono molto forti e strumento preziosissimo; semi diretta però, poiché non tutti i poteri sono affidati dalla nostra saggia costituzione al popolo: molti sono riservati al parlamento, la cui costituzione in due camere di pari poteri salvaguarda anche i diritti dei cantoni e delle regioni minoritarie del Paese; altri sono di competenza diretta del solo Consiglio federale.

La politica estera è di esclusiva competenza del Consiglio federale. Questa scelta costituzionale di concentrare nell’esecutivo le competenze di politica estera è frutto della necessità di strutturare i nostri rapporti con gli altri Paesi e con le istituzioni internazionali adattando la nostra posizione alle esigenze e alle contingenze del momento. Non si può in politica estera decidere una volta per tutte come comportarsi nei decenni successivi, poiché tutto cambia in continuazione e i tempi di reazione imposti sono brevi e non permettono, di volta in volta, il ricorso al parlamento e ancor meno a un giudizio popolare. Proprio la crisi russo-ucraina dimostra la necessità di questa delega di competenze: come avrebbe potuto reagire tempestivamente il parlamento, che per qualsiasi decisione ha sempre bisogno di almeno sei mesi, o il popolo con gli strumenti della democrazia diretta?

L’iniziativa vuole sostituire il principio costituzionale già esistente che impone alla politica di mantenere la posizione della Svizzera quale Paese neutrale, con un sistema composto da quello stesso principio, accompagnato però da regole interpretative inflessibili, definitivamente e per sempre. Non vi è dubbio che per l’Udc, che sistematicamente imposta la sua politica come strumento di opposizione, la proposta sia astuta, visto che noi consideriamo la neutralità anche quale elemento identificante delle nostre caratteristiche di svizzeri e quindi quel tema tocca i nostri sentimenti più profondi. Ma quell’astuzia politica non propone nulla di saggio. Togliere al nostro governo ogni capacità di adattamento della nostra posizione di Paese neutrale, in contrasto con le scelte dei nostri antenati, è proposta priva di giudizio, da tre in condotta.

La storia della nostra neutralità, mal raccontata nell'Argomentario dell’iniziativa, dimostra quanto poco saggia è la proposta: la neutralità svizzera è stata frutto di un accordo internazionale, esplicito e con delle regole, come è stato ai tempi del Congresso di Vienna del 1815: la neutralità svizzera l’hanno voluta e ce l’hanno allora imposta gli imperi europei del tempo. Noi l’abbiamo accettata perché ci conveniva, e ne abbiamo fatto buon uso, tanto che ci è servita in forma assai flessibile persino durante la seconda guerra mondiale, bloccando i nostri confini ai vicini dell’asse italo-tedesco, ma non bloccando le forniture necessarie alla nostra sopravvivenza. E poi ancora durante il periodo successivo al 1945, quello della guerra “fredda”, che vera guerra non era, facendoci rispettare sia dal mondo occidentale che da quello orientale, dominato dalla Russia comunista, permettendoci così anche di svolgere quei buoni uffici che tanto vengono apprezzati.

Una neutralità scelta da noi, con nostre rigide regole di cui non chiediamo accettazione a nessuno, quindi senza l’accordo degli altri Paesi e delle organizzazioni internazionali, sarebbe una neutralità arrogante, incomprensibile, e non servirebbe a nulla. Se il Consiglio federale avesse deciso di non partecipare alle sanzioni “occidentali” nei confronti della Russia che ha invaso l’Ucraina, con una crisi immediata dei nostri rapporti con gli Stati Uniti e con il mondo occidentale, noi saremmo ora veramente in grado di offrire “buoni uffici” o solo sgraditi filo russi?

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