I dibattiti

Le insidie del salario minimo

Non entro qui ancora del tutto nel merito delle motivazioni con cui il Tribunale federale ha respinto i ricorsi di due gruppi di aziende contro la legge cantonale sul salario minimo. Rilevo però quantomeno che il Tribunale federale ha confermato nella sua sentenza l’impianto della legge, nel senso che ha dato via libera sia al salario differenziato (e non unico) sia all’esclusione dei contratti collettivi di lavoro dall’applicazione della stessa e ha ritenuto corretto il sistema scelto di creare delle forchette salariali ravvicinate, che progressivamente porteranno il salario minimo orario a 20,25 franchi nel 2024. È infatti noto per decisione antecedente dello stesso Tf, che i Cantoni possono decretare dei salari minimi obbligatori solo a carattere sociale e non economico.

Interessante notare che, come espresso dal Tf a pagina 28 della sentenza, la legge sul salario minimo si applica solo ai rapporti di lavoro che si svolgono abitualmente nel Cantone Ticino, di modo che offerenti con sede in altri Cantoni non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della stessa. Ora, è piuttosto evidente che ditte del resto della Svizzera che distaccano provvisoriamente personale in Ticino dovrebbero partire da salari minimi superiori, ragione per cui il pericolo di pagare in maniera inferiore detto personale non dovrebbe sussistere. Ma resta il fatto che la legge ticinese sul salario minimo si applica solo a chi lavora in Ticino con abituale regolarità. Il legislatore cantonale ha poi voluto prevedere che le ditte estere che distaccano personale in Ticino senza svolgere un lavoro abituale sono comunque obbligate a pagare il salario minimo.

Ciò è scritto tuttavia nel regolamento di applicazione della legge sul salario minimo e non nella legge stessa. Giuristi nel resto della Svizzera sono al lavoro per valutare quale spazio di manovra un Cantone abbia per legiferare su contenuti che sono specificatamente di una legge federale.

Abbiamo dunque ora un articolo della Costituzione cantonale che stabilisce il diritto di percepire un salario che permetta di avere un tenore di vita dignitoso. Sappiamo anche che è possibile fissare dei salari minimi obbligatori a livello cantonale ma essi devono avere carattere sociale e non economico, cioè essere pressoché corrispondenti al livello delle prestazioni sociali concesse nel Cantone. Ciò stabilendo, il Tribunale federale ha confermato come sostenibile quello che nell’immaginario collettivo è considerato un salario basso.

Sempre nella sua sentenza, il Tribunale federale sottolinea il fatto che saranno i residenti a beneficiare del salario minimo. Qualcuno sta già esultando, ma si tratta di una motivazione giuridica e non economica. Sappiamo che beneficiari del salario minimo dovrebbero essere circa dodicimila lavoratrici e lavoratori a tempo pieno, di cui almeno ottomila residenti all’estero.

È evidente che vi sono delle persone residenti in Ticino (poche) che si vedranno alzare il salario, ma il Tribunale federale certamente non entra nel merito delle conseguenze del salario minimo in termini economici e di mercato del lavoro. Quanti lavoratori frontalieri in più, attirati da salari per loro più alti, cercheranno di farsi assumere in Ticino, magari a scapito di residenti? Quanti residenti in Ticino con salari superiori al minimo si vedranno bloccare se non addirittura ridurre il salario per recuperare almeno parzialmente i maggiori costi sulla massa salariale complessiva?

Lo sapremo fra qualche anno perché la legge richiede una verifica del suo impatto sull’economia cantonale e sui salari di tutti e dunque sia il Consiglio di Stato sia il Gran Consiglio dovranno ancora avere a che fare con il tema del salario minimo.

Al di là di tutto ciò vi sono tuttavia degli elementi di fondo che meriterebbero una discussione ben più ampia e che riguardano sia la politica, sia le istituzioni, sia le parti sociali.

La gran parte dei contratti normali di lavoro esistenti in Svizzera vengono fissati dallo Stato del Cantone Ticino. Nel nostro Cantone inoltre vengono effettuati controlli da parte dell’ispettorato del lavoro almeno cinque volte superiori a quanto avviene negli altri Cantoni. È perché il mercato del lavoro ticinese assomiglia a un Far West, mentre altrove vivono in un paradiso da Mulino bianco? No di certo e le cifre ufficiali, non le chiacchiere che sovente ci dobbiamo sorbire, smentiscono questa tesi. Molto secondo noi dipende anche dall’atteggiamento delle parti.

Le commissioni tripartite negli altri Cantoni vedono i rappresentanti dello Stato assumere un ruolo più da arbitro che da contendente. Inoltre, in diversi altri Cantoni le commissioni tripartite si concentrano maggiormente sulla lotta al lavoro nero.

Cosa si attende il Consiglio di Stato dalla commissione tripartita cantonale ora che è in vigore il salario minimo? La domanda non è di secondaria importanza e l’abbiamo già posta alle autorità. Per ogni persona che lavora esiste un cosiddetto salario di riferimento in base a una serie di fattori, ad esempio i diplomi conseguiti e le competenze professionali. In linea teorica ma anche pratica, il dumping salariale può avvenire non solo ai livelli salariali più bassi ma anche a tutti gli altri livelli superiori. Potremmo arrivare persino all’assurdità di veder fissare dei contratti normali di lavoro con salari minimi obbligatori per i quadri dirigenti di aziende dello stesso settore economico. Ecco, la questione a sapere è se il Ticino vuole diventare uno Stato di polizia che fa scappare imprenditori e attività economiche oppure no. Gli altri Cantoni hanno fatto una scelta precisa e pagante, cioè quella di colpire sì gli abusi ma adottare un atteggiamento costruttivo per gestire il mercato del lavoro. Il Ticino a parer nostro almeno finora ha imboccato una strada differente. E non è detto che sia la più pagante anche per le lavoratrici e i lavoratori.

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