caso assange

‘La decisione sull’estradizione equivale a vivere o morire’

La moglie del cofondatore di Wikileaks, Stella Assange, è sicura: ‘Negli stati Uniti non sopravviverebbe’

Stella Assange
(Keystone)
19 febbraio 2024
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"Questo caso è destinato stabilire in sostanza se egli vivrà o morrà". Lo ha ribadito oggi Stella Assange a proposito delle conseguenze per il marito Julian delle due udienze cruciali in programma domani e mercoledì dinanzi all'Alta Corte di Londra per decidere la sorte dell'appello finale della difesa dell'attivista e giornalista australiano - cofondatore di WikiLeaks - contro la sua contestatissima procedura di estradizione dal Regno Unito negli Usa. Julian Assange "non sopravvivrà" a un'eventuale conferma del via libera al trasferimento, ha detto Stella in una nuova intervista alla Bbc, rilasciata alla vigilia dell'appuntamento giudiziario, ripetendo quasi parola per parola quanto detto pochi giorni fa in una conferenza stampa. Intervista concessa peraltro mentre nel mondo occidentale sale lo sdegno per la morte - intervenuta frattanto in una colonia penale russa - di Alexey Navalny, oppositore di Vladimir Putin. Nonché sullo sfondo di un'escalation di pressioni del governo dell'Australia sugli alleati britannici e americani per il rilascio di Assange e per evitare che anche lui possa rischiare prima o poi di morire in galera.

Condizioni troppo pericolose

La moglie – avvocata sudafricana che ha dato due figli all'artefice di WikiLeaks negli anni in cui era rifugiato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra e che lo ha poi sposato in prigione – ha evidenziato le condizioni di salute fisica e mentale sempre più precarie di Julian dopo quasi 5 anni di detenzione in isolamento carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh, dove resta rinchiuso in attesa del responso sull'estradizione malgrado nel Regno da tempo non abbia più alcuna pendenza penale.


Keystone
La moglie di Assange davanti a un murale a lui dedicato

E ha quindi ricordato come le udienze di domani e dopodomani rappresentino un ultimo tentativo di fronte alla giustizia britannica per bloccarne la consegna - già autorizzata a livello politico dal governo conservatore di Londra - agli Stati Uniti: Paese in cui Julian rischia, almeno sulla carta, una condanna monstre fino a 175 anni di carcere per aver a suo tempo divulgato attraverso WikiLeaks (e in parte tramite grandi testate giornalistiche internazionali come New York Times o Guardian) 700’000 documenti riservati (autentici) relativi ad attività militari e diplomatiche degli Usa, inclusi crimini di guerra attribuiti alle forze americane in Afghanistan e Iraq. E dove contro di lui è stata aperta un'inchiesta basata su inedite accuse di violazione del vecchio Espionage Act del 1917, legge mai applicata in oltre un secolo per vicende di pubblicazione mediatica di documenti o materiale top secret di qualunque tipo.

L'Alta Corte di Londra dovrà pronunciarsi in secondo grado sul ricorso della difesa contro il no del giudice britannico di prima istanza all'ammissione di un ulteriore appello per fermare l'estradizione. Il verdetto è atteso dopo la seconda udienza e se quel no fosse confermato, le possibilità di azione legale in seno alla giurisdizione del Regno Unito risulterebbero esaurite, ha rimarcato Stella Assange. Aggiungendo che in quel caso rimarrebbe solo l'opzione - di dubbia efficacia, dati i precedenti - di un ricorso d'urgenza alla Corte europea dei Diritti Umani, da presentare entro 24 ore: termine superato il quale le autorità britanniche potrebbero a quel punto - volendo - procedere a estradare comunque l'ex primula rossa australiana oltre oceano.

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