Estero

L’Italia e il ‘gioco dell’oca’ sulla pelle dei migranti

Alle navi che recuperano i naufraghi assegnati porti lontani, come nel caso della Humanity 1, sbarcata a Livorno con a bordo 88 persone stremate

In sintesi:
  • Reportage dal porto di Livorno, a 1'400 km dal luogo di sbarco
  • Le politiche del governo Meloni costringono persone già stremate ad affrontare altri giorni di navigazione
Alcune delle persone salvate da un naufragio avvenuto tra l’Africa e la Sicilia dalla Sos Humanity 1 della Organizzazione Sos Humanity mentre attendono di sbarcare a Livorno il 30 Maggio 2023
(Foto di Giacomo Sini)

All’accosto 56 del Porto di Livorno ha attraccato, poco prima delle 8 della mattina del 30 maggio, la nave Humanity 1 con a bordo 88 naufraghi. Sono originari di Sudan, Pakistan, Siria ed Egitto. Tra loro 11 minori, di cui 10 non accompagnati. Questi erano stati tratti in salvo dall’equipaggio il 26 aprile in zona Sar maltese, dopo che l’imbarcazione con cui erano partiti da Tobruk, Libia, diretti verso l’Italia, si è trovata in avaria nel bel mezzo del Mediterraneo.

Sono trascorsi sei mesi da quando il Governo guidato da Giorgia Meloni, facendo sbarcare la nave Life Support di Emergency proprio a Livorno il 22 dicembre scorso, aveva inaugurato una nuova strategia rispetto alle navi Ong che svolgono attività di ricerca e soccorso. Una strategia che consiste nell’assegnare, attraverso il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Mrcc) preposto a tale compito, un porto sicuro in cui far sbarcare i naufraghi molto lontano dall’area dove questi sono stati salvati. Sempre in quelle settimane era stato varato il Decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023, che ridefiniva il cosiddetto codice di condotta per le Ong, esponendo capitano e proprietario della nave che avessero disatteso queste indicazioni a fermo amministrativo, sequestro, e multe salatissime. Tra le prescrizioni previste, vi era il divieto di compiere più salvataggi nell’ambito della stessa missione.

È in questo quadro che bisogna quindi leggere la nota pubblicata il 26 aprile, a poche ore dal salvataggio, da Sos Humanity, Ong proprietaria dell’imbarcazione Humanity 1: “Ci è stato assegnato il porto di Livorno, in Italia, lontano 1'400km. Questo significa giorni di viaggio. I sopravvissuti segnalano una seconda barca in pericolo, ma le autorità italiane ci ordinano di tornare in Italia”.

Dal punto in cui sono stati soccorsi ci sono voluti quattro giorni di navigazione per raggiungere Livorno. In questo tragitto lungo quasi tutta la penisola italiana, la Humanity 1 è passata davanti a decine di altri porti. Camilla, responsabile della comunicazione per l’equipaggio racconta la disperazione a bordo «quando abbiamo raggiunto lo Stretto di Messina, molti naufraghi, vedendo la terra, pensavano di essere arrivati. Ma il viaggio era ancora lungo». Giorni di navigazione che hanno messo ulteriormente alla prova le condizioni psicofisiche dei naufraghi: «Un ragazzo del Pakistan era terrorizzato – prosegue Camilla – si teneva la maglia sugli occhi perché non voleva più vedere il mare. Prima che arrivassimo a soccorrerli pensava che sarebbe morto in mezzo al Mediterraneo».

Sulla banchina dove è attraccata la Humanity 1, dietro all’edificio della Stazione Marittima, la Protezione Civile ha allestito un campo. Qua si sono svolte nel corso della mattinata le operazioni di sbarco, i controlli medici e le identificazioni di polizia, con la presenza di interpreti e operatori sociali. Il Prefetto di Livorno Paolo D’Attilio dichiara che tutte le persone sbarcate saranno accolte in strutture all’interno della regione Toscana. «Spesso però – dice Camilla – pur sbarcando così a nord le persone vengono spedite di nuovo a sud con i bus, magari in Calabria o in Sicilia. È assurdo, potrebbero farci sbarcare direttamente là».

Dopo le operazioni sanitarie a bordo, i naufraghi scendono a piccoli gruppi dalla nave, molti abbracciano e salutano calorosamente l’equipaggio che li ha salvati e con cui hanno condiviso gli ultimi difficili giorni di navigazione. Due ragazzi, appena scesi dalla passerella, si inginocchiano sul molo e baciano la terra.

Da dietro le transenne che chiudono l’area di sbarco arrivano forti applausi e qualcuno grida “Welcome!”. Sono circa una decina di membri dell’equipaggio di terra della Ong Mediterranea, venuti da Firenze e da altre città vicine per dare un segnale di accoglienza ai naufraghi e di sostegno all’equipaggio. «Questa volta – dice una ragazza del gruppo – c’erano controlli più serrati all’ingresso del porto, all’inizio non volevano farci passare, siamo qui anche per cercare di allentare questa tensione».

Fuori dal Varco Fortezza, lungo il cancello che delimita l’area portuale, sono appesi tre striscioni. Il messaggio è chiaro “Basta sbarchi in porti lontani” e “Refugees welcome – dal 1591 qui nessuno è straniero”, con riferimento alle cosiddette leggi livornine che alla fine del XVI secolo resero possibile alle genti di ogni nazione e cultura di risiedere in città, per favorire lo sviluppo del porto franco. Alcune decine di persone hanno partecipato alla manifestazione di solidarietà di fronte all’ingresso del porto, organizzata dalla rete “Livorno solidale e antirazzista”.

«È positivo che ci siano queste manifestazioni di solidarietà e accoglienza – dice Camilla – molti dei naufraghi avevano timore di come sarebbero stati ricevuti al loro arrivo. Per loro è un segnale importante».

Josh, capitano della Humanity 1, scende a terra osservando la fine delle operazioni di sbarco. «Il mio compito come capitano quando c’è una richiesta di soccorso – dichiara – è quello di intervenire portare in salvo i naufraghi. Il compito del Mrcc è quello di coordinare le navi che possono intervenire nei soccorsi, aiutando chi come noi opera nei soccorsi e rendendo le operazioni più efficaci». Ma, afferma il capitano, questo compito verrebbe disatteso «Come abbiamo visto anche in questo caso, il Mrcc però non adempie ai propri compiti, non svolge il proprio ruolo, e rende impossibile al capitano di portare a termine le operazioni di soccorso come previsto dal diritto marittimo».

Dando ogni tanto uno sguardo alla passerella da cui scende l’ultimo gruppo di naufraghi, Josh racconta come è andata: «Quando abbiamo soccorso questi 88 naufraghi, essi stessi ci hanno detto che una barca come quella su cui si trovavano, con un numero simile di persone a bordo, era partita insieme a loro ma ne avevano però perso le tracce. Eravamo pronti a intraprendere la ricerca, e abbiamo formalmente comunicato via mail al Mrcc questa informazione, mettendoli a conoscenza della possibile presenza di un’altra imbarcazione in difficoltà. Il Mrcc non ci ha risposto. Solo dopo ci è arrivata l’intimazione di partire per Livorno “perché il capitano mette in pericolo la vita delle persone a bordo”. Abbiamo chiesto se ne sarebbero occupati ma non ci hanno risposto.»

Quando il 20 aprile scorso la Humanity 1 è stata assegnata al porto di Ravenna, a 1600 km dal punto di soccorso, le Ong Sos Humanity, Mission Life-line e Sea eye, hanno deciso di intraprendere un'azione legale presso il Tribunale civile di Roma contro la politica dei porti lontani adottata dalle autorità italiane. Solo le navi delle Ong sembrano soggette a questo trattamento, perché alle unità della guardia costiera che intervengono in missioni di soccorso vengono invece assegnati solitamente porti siciliani, o comunque vicini.

«Assegnare porti distanti – spiega Camilla – significa tenere lontano dalle aree di operazione le navi di soccorso come la nostra, imponendo oltretutto altissimi costi per compiere questi lunghi tragitti».

Terminato lo sbarco, già si preparano alla partenza per poter tornare il prima possibile operativi. «Vorremmo partire entro mezz’ora» dice sorridendo Camilla.

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