ITALIA

Giorgia Meloni parla come la ‘solita’ destra

Il discorso della nuova presidente del Consiglio alla Camera è stato piuttosto prudente, riprendendo toni e temi dei precedenti governi conservatori

(Keystone)
25 ottobre 2022
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Chi sperava – o temeva – toni belligeranti, parole di fuoco contro i diritti civili e magari qualche "eja eja alalà" sarà rimasto spiazzato. Il discorso col quale Giorgia Meloni si è presentata per la fiducia alla Camera è risultato tutto sommato prudente: la nuova presidente del Consiglio ha ricalcato i toni della ‘solita’ destra italiana. Così, dalle pieghe della retorica e in mezzo ai mille riferimenti accostati un po’ a caso – Giovanni Paolo II accanto a Steve Jobs, Oriana Fallaci con Samantha Cristoforetti – è emersa un’idea d’Italia forse un po’ turgida, ma pur sempre inserita nel tessuto europeo e atlantico.

Meloni, piuttosto emozionata, ha ricordato subito l’aspetto storico della sua nomina: "Tra i tanti pesi che sento gravare sulle mie spalle oggi, non può non esserci anche quello di essere la prima donna a capo del Governo in questa Nazione". Non ne è seguita alcuna rivendicazione femminista, ma un lungo elenco di donne che "hanno costruito, con le assi del loro esempio, la scala che oggi consente a me di salire e di rompere il pesante tetto di cristallo che sta sulle nostre teste", tutte citate col solo nome di battesimo: dalla ciclista Alfonsina (Strada) alla presidente della Camera Nilde (Iotti), passando per l’educatrice Maria (Montessori) e la scienziata Rita (Levi Montalcini).

Fede atlantica

Passando all’estero, il primato nazionale meloniano non è sbandato lungo vie di fuga troppo orbaniane. Meloni ritiene che "chi dall’estero dice di voler vigilare sull’Italia non manca di rispetto a me o a questo Governo: manca di rispetto al popolo italiano, che non ha lezioni da prendere"; ma ha anche rinnovato la piena adesione all’Unione europea e all’Alleanza atlantica, oltre al "sostegno al valoroso popolo ucraino che si oppone all’invasione della Federazione russa".

Confuse, ma ancora una volta assai simili alle vecchie tiritere berlusconiane, le parole dedicate all’economia: tagliare le tasse, combattere l’evasione ma senza fare la "caccia al gettito" e concedendo amnistie (pardon, "tregue"), semplificare la burocrazia, ricordare che "la ricchezza la creano le aziende con i loro lavoratori, non lo Stato con decreti o editti" e che occorre "non disturbare chi vuole fare". Un piano che fa il paio con gli aiuti per le famiglie, ma anche con l’affossamento del reddito di cittadinanza. In ogni caso, Meloni pare capire che la dura realtà richiede prudenza e che le richieste di Matteo Salvini – dalla flat tax alla pensione a 61 anni – sono insostenibili per le casse pubbliche (Liz Truss insegna).

Il ‘piano Mattei’

Sempre a proposito dei rapporti col vicepresidente leghista – che ‘comanderà’ la Guardia Costiera –, un tema scottante è quello dell’immigrazione, dove però l’intesa tra destre pare piuttosto solida. Meloni ha ribadito la necessità di bloccare i migranti in Africa – come si fa da anni nei lager libici, ma lei non lo dice –, di creare fantomatici hotspot per gestire le richieste sul posto e di ‘aiutarli a casa loro’, magari attraverso "un piano Mattei" per lo sviluppo africano coordinato con Bruxelles (il riferimento, parecchio a sbalzo, è al fondatore di Eni Enrico Mattei). Non è mancato neppure l’immancabile pistolotto sul "ruolo strategico che l’Italia ha nel Mediterraneo", vecchio cavallo di battaglia del Berlusconi che regalava bidet a Gheddafi, ma anche del centrosinistra.

Per rianimare le istituzioni, la presidente ha poi proposto "una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare", una cosa alla francese che possa tentare anche l’opposizione (a Roma se ne parla più o meno dai tempi di Nerone, senza risultati).

Si è parlato anche di legge-e-ordine, naturalmente, giusto il tempo per promettere più carceri e criticare "uno Stato che a volte ha dato l’impressione di essere più solidale con chi minava la nostra sicurezza di quanto lo fosse con chi invece quella sicurezza rischiava la vita per garantirla", altro Leitmotiv che accomuna Meloni a Salvini.

Silenzio pressoché totale sui diritti civili, mentre per l’ecologia è bastato promettere di "difendere la natura con l’uomo dentro" – slogan vitruviano opposto a "certo ambientalismo ideologico" – per strappare un altro di quegli applausi che a bilancio ammonteranno a una settantina.

No al fascismo, ma...

Da notare, infine, i riferimenti all’ingombrante eredità fascista. Meloni ha detto chiaramente: "Non ho mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici; per nessun regime, fascismo compreso, esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre". Ha però rivendicato la sua discendenza dalla destra missina, quella che secondo lei "ha sempre agito alla luce del sole e a pieno titolo nelle nostre istituzioni repubblicane, anche negli anni più bui della criminalizzazione e della violenza politica, quando, nel nome dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese" (avrebbe giovato ricordare che quei colpi erano ampiamente ricambiati, per tacer del tritolo).

Infine eccola lì, Meloni, che svetta in piedi accanto al mazziato Salvini, e al termine del suo discorso si definisce "un underdog, diciamo così, lo sfavorito, quello che, per riuscire, deve stravolgere tutti i pronostici". Ecco: "È quello che intendo fare ancora, stravolgere i pronostici".

In serata la Camera ha votato la fiducia a Meloni con 235 voti favorevoli, 154 contrari e 5 astenuti. Domani tocca al Senato.

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