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Elezioni europee: l'Ue è divisa, gli euroscettici pure

A una settimana dal voto arrancano Popolari e Socialisti, ma un'internazionale nazionalista resta improbabile. Un riassunto della situazione.

Infografica laRegione/fonte: EuropeanElectionsStats.eu
17 maggio 2019
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Le elezioni per il Parlamento europeo (23-26 maggio)  sono presentate spesso come un referendum sui nuovi nazionalismi: “o la va o la spacca” è il mantra, tanto fra gli europeisti quanto fra gli euroscettici. Le cose però sono più complicate di così, e l’idea che lunedì 27 ci sveglieremo in una nuova era per l’Europa (o quel che ne rimane) va un po’ riconsiderata. Al momento – come ha notato Luca Misculin in un’ampia e accurata analisi su ‘Il Post’ – “la notizia della morte imminente dell’Europa è stata fortemente esagerata”.

Per cosa si vota

Il Parlamento europeo è l’organo legislativo dell’Unione insieme al Consiglio dell’Ue (dove siedono i rappresentanti dei governi nazionali). I 751 membri del Parlamento si esprimono su un vasto ventaglio di temi: dal controllo delle frontiere ai trattati commerciali, dal sostegno allo sviluppo all’allocazione regionale dei fondi, passa tutto da lì. 

Inoltre, dal 2014 il Parlamento decide la nomina dei membri e del presidente della Commissione europea (il ‘governo’ Ue; ora il presidente è Jean-Claude Juncker). Allo stato attuale i candidati principali alla presidenza della Ce sono due Carneade: Manfred Weber, europarlamentare dei popolari tedeschi, e il socialista olandese Frans Timmermans, ex-diplomatico, vice di Juncker. Tuttavia, spiega 'Il Post', il presidente francese Emmanuel Macron e altri leader vorrebbero riportarne la nomina in seno al Consiglio dell’Ue: un po’ perché è anomalo votare per candidati decisi dalla legislatura precedente, un po’ per sottrarre al Parlamento gli equilibri di potere. 

Gli aghi della bilancia

I partiti storici – Popolari e Socialisti – perdono terreno. Difficilmente potranno mantenere insieme l’attuale maggioranza. Questo offre ad altri la possibilità di fare da ago della bilancia. Anzitutto i liberali dell’Alde: hanno 68 seggi e secondo ‘Politico’ potrebbero arrivare a 104 in caso di alleanza con ‘En Marche’ di Macron. Importanti per la prossima legislatura potrebbero essere anche i Verdi, che avanzano al Nord ma faticano molto al Sud. Infine ci sono...

Gli euroscettici, divisi

Soprattutto i nazionalisti di destra, che stanno avanzando in tutta Europa, e i Brexiteers di Nigel Farage, al 34% in Gran Bretagna secondo il ‘Guardian’. Il problema, per loro, è che per ‘fare massa’ dovrebbero coalizzarsi; ma un’internazionale nazionalista è una contraddizione in termini, e infatti finora tutti i tentativi sono naufragati: i polacchi temono i lepenisti perché sono filorussi, la Lega italiana vorrebbe scaricare i migranti sugli altri Paesi che non ne vogliono sapere, e via così. Infatti ciascuno sta in un gruppo diverso, coi suoi interessi. 

I 180 seggi che spetterebbero ai populisti (un quarto del totale) potrebbero servire più a paralizzare le operazioni legislative che a condizionare la linea del Parlamento. Senza contare il fatto che a Brexit compiuta perderebbero una trentina di seggi. E se anche il Partito popolare volesse osare un’alleanza spronandoli ad unirsi, prevede ‘Il Post’, la conta si fermerebbe attorno ai 350 parlamentari: sempre troppo pochi per ‘comandare’. 

Partiti e nazioni

Un ulteriore elemento di divisione – nota Misculin – viene dal fatto che spesso i parlamentari decidono di difendere le priorità delle rispettive nazioni a discapito della linea di partito.  Allo stesso tempo, è il partito vincitore sul piano nazionale che manda normalmente un suo rappresentante alla Commissione. Per questo – specie in funzione del nuovo esecutivo ­­– è fondamentale tenere d’occhio i risultati nelle singole nazioni. Anche in questo caso, però, non si registrano tendenze univoche: se in Italia potrebbe trionfare la Lega, in Spagna sono favoriti i Socialisti, mentre la Francia e la Germania sono più divise che mai. Comunque andrà, insomma, sarà un bel casino. 

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