Estero

Dopo 157 anni l'India cancella il reato di adulterio

'È tempo di dire che la donna non è una proprietà del marito', ha sancito la Corte suprema

27 settembre 2018
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L'India ha compiuto oggi un altro importante passo sul cammino dei diritti civili: questa mattina un collegio di cinque giudici della Corte Suprema ha cancellato il reato di adulterio, previsto dall'articolo 497 del Codice Penale Indiano. La legge, che risaliva a 157 anni fa, al periodo vittoriano, stabiliva che un uomo che avesse rapporti sessuali con una donna sposata commetteva un reato e poteva essere punito con una pena fino a cinque anni di carcere, con il pagamento di una multa, o con entrambi. Per la 'traditrice', invece, nessuna condanna. L'articolo 497 era fortemente squilibrato perché la possibilità di denunciare l'adulterio e chiedere la condanna del colpevole non era concessa a entrambi i coniugi, ma solo ai mariti.

"È tempo di dire che la donna non è una proprietà del marito", ha scritto nelle motivazioni il presidente del collegio, il giudice Dipak Misra che, con questa ennesima decisione innovativa dopo la depenalizzazione dell'omosessualità e il divieto al talaq, il divorzio di rito islamico ottenuto con una sola parola del marito, a poche settimane dal suo prossimo pensionamento dall'Alta Corte avvicina la legislazione indiana alla piena garanzia di uguali diritti e dignità per donne e uomini.

La richiesta dall'Italia in 45 pagine

Promotore della richiesta di abolire la norma vittoriana è stato Joseph Shine, un uomo d'affari indiano, di 41 anni, originario del Kerala, residente in Italia. In un'articolata petizione di 45 pagine, presentata dai suoi avvocati in agosto, Shine definiva l'articolo 497 discriminatorio e arbitrario nei confronti di uomini e donne e, citando frasi del poeta Ralph Waldo Emerson, della femminista ottocentesca Mary Woolstonecraft e dell'ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, sosteneva che la legge discriminava gli uomini ritenendoli i soli colpevoli di relazioni extramatrimoniali e trattava le donne alla stregua di oggetti.

I cinque magistrati del collegio composto, oltre a Misra, da Nariman, Khanvilkar, Chandrachud e Malota, hanno concordato con Shine, affermando che il 497 era non solo arcaico e arbitrario, ma che soprattutto contrastava con la costituzione per la disparità di trattamento di genere. "La bellezza della costituzione indiana", si legge nella prima pagina della sentenza (in tutto 243 pagine), "sta nel fatto che include i pronomi 'io', 'tu' e 'noi'. Questo nostro magnifico, monumentale documento incarna un'empatica inclusività; nella nostra carta, la dignità individuale ha un posto fondamentale".

Reazioni entusiaste

Entusiaste le reazioni degli attivisti dei diritti civili indiani. Contrariato il governo di Modi che, ai primi di agosto, quando la petizione era arrivata alla Corte, aveva tentato di difendere la vecchia legge: "Diluire la norma sull'adulterio danneggerà i legami matrimoniali. L'ethos indiano attribuisce grande importanza all'istituzione e alla sacralità del matrimonio", aveva affermato il consiglio dei ministri. Ma il presidente Misra aveva risposto già allora che l'adulterio in una coppia può essere il punto di partenza per una causa civile di divorzio ma non può venire considerato un crimine, con conseguenze penali.

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