Estero

La favola della Rete

Il caso Facebook Cambridge Analytica è solo la conferma di quanto illusoria sia la libertà di Internet

6 aprile 2018
|

Il web non modifica la realtà, ma ne condiziona la percezione. Diciamola tutta: la altera. E le reazioni, i comportamenti che ne derivano incidono sulla realtà: dalla scelta di un prodotto a quella politica. Non per nulla, le strategie di influenza su consumatori ed elettori sono le stesse. Non che la propaganda politica abbia scoperto solo oggi certe tecniche di manipolazione, ma di oggi – oltre alla scala di pervasività del fenomeno – è una novità decisiva: l’illusione della interattività generata dalla rete in chi vi accede e ne fa uso.

Finendo poi irretito, come considera Alessandro Dal Lago, sociologo italiano che a web e politica ha dedicato una parte importante del proprio lavoro. Tra i molti suoi titoli ricordiamo ‘Clic! Grillo, Casaleggio e la demagogia elettronica’ (Cronopio, 2013) e il più recente ‘Populismo digitale’ (Raffaello Cortina, 2017). Perché, per quanto ci convinciamo (o cerchino di convincerci) che la rete è uno spazio libero, la libertà che vi esercitiamo è quella di pesci in un acquario...

Professor Dal Lago, dopo le rivelazioni del caso Facebook/Cambridge Analytica si è scritto che ‘la nostra vita digitale è in vendita, del tutto sottratta al nostro  controllo’. Non è una denuncia speculare alla profezia ottimista formulata sin dalle sue origini secondo cui la rete sarebbe stata una ‘sfera comunicativa senza controlli’?

In un certo senso sono vere entrambe le affermazioni: la rete è sia il luogo della manipolazione, sia quello in cui poteri di cui nulla sappiamo hanno modo di agire liberamente. Il che, tutto sommato, è abbastanza naturale, trattandosi di un grande mercato. Per capirci: io e lei potremmo aprire una impresa di qualsiasi natura, culturale, commerciale, e nel nostro settore ci troveremmo soggetti a poteri in grado di condizionarci.

Nello specifico, il problema della rete è che consente a chiunque di comunicare, ma le sue logiche sono in mano a entità semisconosciute, o addirittura occulte. I giganti del web, seguendo i nostri spostamenti in rete, accumulano dati che possono passarsi l’un l’altro, proprio come avviene in un grande mercato.

Un mercato. Anche dopo l’elezione di Donald Trump si osservò che gli hacker all’origine della diffusione di ogni sorta di fake news lo avevano fatto per guadagnare, non per ragioni ideologiche. Allo stesso modo si dice che chi colleziona e vende dati lo fa per
business, prima che per un disegno politico, quasi che incamerare e analizzare dati sia di per sé un procedimento ‘neutro’. È così?

La rete, in quanto mercato globale, consente di produrre profitti economici e profitti politici, nella stessa misura. Pensiamo al caso Cambridge Analytica. La società ha condotto una sorta di indagine di marketing su 270mila utenti di Facebook (con la sua approvazione, immagino). Una volta collezionati i dati di questi utenti, senza che nessuno lo impedisse, ha utilizzato i loro contatti, raggiungendo così 50 milioni di utenti.

A questo punto Cambridge Analytica ha “profilato” le tipologie degli utenti, dando il via, per ciò che sappiamo sinora, a una campagna mirata sia sulla Brexit che nelle presidenziali statunitensi. Il metodo era quello di assecondare le propensioni o le ossessioni delle figure individuate: se il problema più avvertito era l’immigrazione, la campagna mirava a quello. La manipolazione ha agito in questo modo, e non lo trovo così stupefacente, trattandosi di un chiaro caso di marketing applicato alla politica.

Ma allora è soltanto cambiato il mezzo con cui vengono condotte queste campagne di marketing? Per restare nel ‘piccolo’, dell’ascesa di Silvio Berlusconi si disse che fu favorita e determinata da anni di pedagogia televisiva. Si tratta di una replica con altre modalità?

In qualche modo sì. Anche se non credo che l’ascesa di Berlusconi fu un prodotto esclusivo della televisione, è vero che il suo utilizzo fu determinante. Con internet il fenomeno è analogo, ma su tutt’altra dimensione e si pone in due modi.

Uno: si tratta di un medium talmente potente da inglobare tutti gli altri. Li assorbe e li condiziona. Due (ciò su cui si riflette meno): la rete dà l’illusione dell’interattività. Se il messaggio dei media tradizionali è a senso unico, quello della rete sfrutta l’apparenza di libertà di chi vi accede. In questo modo la manipolazione è doppia, bidirezionale.

Possiamo anche dire che i populismi digi­tali sono stati più pronti a impadronirsi del mezzo, o è il mezzo che meglio si è prestato al loro disegno politico?

Direi che si sono saldati due elementi. Uno è la prontezza con cui questi movimenti hanno appreso a stare in rete e a utilizzare le sue possibilità. Ma dire questo è troppo generico. Piuttosto va osservato che hanno intuito il potenziale politico di una illusione come quella della democrazia in rete. Pensi alla presenza nell’inchiesta Cambridge Analytica di Steve Bannon [il suprematista bianco responsabile del sito estremista Breitbart News, e ascoltato stratega di Trump, prima di venire allontanato dalla Casa Bianca, ndr]: è la conferma di come la capacità di influenzare l’opinione pubblica attraverso la manipolazione dei dati sul web è maggiore nella destra globale che non nella sinistra.

Prendiamo, per restare in Italia, i Cinque Stelle: di Casaleggio si può dire tutto, ma non che non avesse capacità e visione delle potenzialità di internet e dell’opportunità di trasformarle in politica. Da una parte generando un’adesione popolare estesissima (seppure virtuale), dall’altra imponendo una gestione autoritaria di questo bacino di consenso. Una cosa da fare impallidire il ‘centralismo democratico’ del partito comunista, negli anni Sessanta.

Più in generale: quando si parla dei rischi derivanti dall’utilizzo di internet, lo si deve intendere come un mero problema di sicurezza (protezione dei dati, della privacy eccetera), o della natura stessa di un ecosistema chiamato rete?

Bisogna dire che da sempre i dati sensibili, gli interessi privati di chiunque sono stati soggetti alla riservatezza e all’onestà di chi li deteneva o era deputato al loro controllo, un’autorità o un’amministrazione, fa lo stesso.

Il problema vero in campo politico è il loro utilizzo per dar luogo a tipologie di tipo statistico, e per questo la rete ha rivelato un potenziale straordinario. In altre parole: a Cambridge Analytica non interessava in alcun modo il comportamento del singolo, ma poter individuare, profilando gli innumerevoli movimenti degli utenti, una tipologia di elettori. Una dimensione che noi, semplici utenti, non possiamo controllare.

La rete è considerata una manifestazione esemplare della globalizzazione, una sua condizione; al tempo stesso la rete è il vei­colo che genera e amplifica un discorso di reazione opposto, sovranista, nazionalista, complottista. Le due cose si contraddicono o si tengono, al di là della dinamica azione/reazione?

Di sicuro non si contraddicono. La differenza è che il discorso globalista tradizionale non ha mai riflettuto sulla rete come linguaggio. Come tale noi lo parliamo, lo elaboriamo creativamente; mentre vi sono regole pragmatiche, sintattiche, semantiche a cui non possiamo sfuggire. Non è necessario essere heideggeriani per sapere che il linguaggio è la casa dell’essere ma anche la sua prigione.
Lo stesso vale per la rete. Chi ha capito per primo il suo potenziale di condizionamento è stata la destra. Uno forse si sarebbe atteso il contrario, e invece…

Benché anche Barack Obama avesse utilizzato la rete per la propria campagna…

Fu un’altra cosa. A parte il fatto che andrebbe verificato se Obama era davvero ‘di sinistra’, il fatto è che la sua fu una propaganda esplicita, palese. Nel caso Cambridge Analytica, invece, il ‘lavoro’ è stato condotto in una forma coperta.

Le fake news, infine. Il ‘falso’ costruito e diffuso dal potere non è un fenomeno nuovo. La bugia calata dall’alto era persino teorizzata dai consiglieri del principe. Oggi la si concepisce, non si sa con quale intenzione e consapevolezza, dal basso. È questo il grande mutamento?

Questo sì, è il punto. La questione è che si tratta di un fenomeno non controllabile. Solo governi in vena di propaganda possono concepire progetti di legge contro le fake news. È una scemenza, considerato che la rete è plurale, e vi agisce una quantità infinita di input. Quando si comincia a gridare in mezzo alla strada ‘al lupo al lupo’­ – prima una persona, poi cinquanta, cento – finisce che la gente si chiude in casa per paura senza sapere se il lupo c’è davvero. In rete lo gridano a milioni…

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔