Estero

Più del 50 per cento dei profughi in soli dieci Paesi. Amnesty: 'paesi ricchi d'egoismo e insensibilità'

Giordania, campo rifugiati di Zaatari. Aperto nel 2012, nel 2015 il campo contava oltre 83mila rifugiati siriani
4 ottobre 2016
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Il 56% dei profughi nel mondo sono accolti in dieci Paesi, che insieme raggiungono a malapena il 2,5% del Pil globale. Lo riferisce Amnesty International che, nella sua valutazione complessiva della crisi dei rifugiati, accusa gli Stati più ricchi di essere all’origine di questa situazione problematica.

Il rapporto documenta le condizioni precarie con le quali molti dei 21 milioni di rifugiati sono confrontati. Secondo Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, i leader mondiali dovrebbero dare il via a un dibattito serio, lavorando insieme e condividendo le responsabilità, per permettere a chi ha dovuto abbandonare il proprio Paese di ricostruirsi una vita altrove.

Attualmente, stando all’organizzazione, l’incombenza della questione ricade in maniera spropositata su un piccolo numero di Paesi confinanti o vicini a situazioni di crisi. Per esempio, il Regno Unito ha accolto dal 2011 meno di 8mila siriani, mentre la Giordania (nonostante abbia una popolazione quasi 10 volte inferiore e l’1,2% del Pil britannico) ne ospita oltre 655mila.

Il Canada è citato come modello positivo, dato che ha potuto ricollocare quasi 30mila rifugiati siriani dal novembre 2015.

La relazione sottolinea come il problema non si limiti al Mediterraneo. Ad esempio, un numero crescente di profughi afghani è confrontato con «molestie da parte delle autorità pachistane», che hanno già forzato il rientro nel proprio Paese di oltre 10mila di essi.

Inoltre, più di 75mila persone in fuga dalla Siria sono intrappolate lungo il confine con la Giordania. Dal canto loro, altri rifugiati sono costretti a vivere in contesti terribili, dovendosi confrontare nei centri di accoglienza con condizioni difficili, quali il sovraffollamento e l’assenza di igiene e cure mediche.

Ancora, alcune Nazioni dell’Unione europea così come l’Australia, sono accusate di «violazioni dei diritti umani sistematiche e abusi come strumenti politici». Il rapporto afferma che nei primi nove mesi del 2016 si sono registrati 3’500 morti tra chi ha tentato di raggiungere l’Europa via mare.

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