La recensione

‘Maria Egiziaca’, mistero irrisolvibile

Riconsegnato ai teatri un titolo da ritrovare, insieme a una leggenda da rileggere, visti nel veneziano ‘Malibran’

Un Malibran d’archivio
(Keystone)
19 marzo 2024
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Ci voleva un regista straordinario come Pier Luigi Pizzi che a 93 anni ha deciso di riprendere in mano una delle opere italiane più discusse e discutibili del XX secolo, quel Mistero in tre episodi intitolato ‘Maria Egiziaca’ che Ottorino Respighi ha tratto da una leggenda antica ridotta in libretto da Claudio Guastalla, per scoprire quel grande spettacolo che un pubblico entusiasta ha a lungo applaudito nella splendida cornice che è quell’unico teatro, il veneziano Malibran. Già, il Malibran, ovvero il Teatro San Giovanni Grisostomo, come era chiamato nel XVII e XVIII secolo, anni in cui era il Teatro più famoso di Venezia, leggendario, costruito sulle rovine della casa di Marco Polo. E quell’aura è brillata ancora con questa edizione di ‘Maria Egiziaca’ opera maledetta, per il suo compositore troppo a lungo legato al regime fascista, e non amata neppure in quel ventennio in cui Respighi era celebrato più per il suo valore sinfonico che operistico. Non amata soprattutto per un libretto accusato di non essere abbastanza dannunziano, ma anzi, ridicolmente votato a una lingua quasi quattrocentesca, scelta decisa dal Guastalla stretto collaboratore di Respighi, d’accordo con il musicista in quest’affrontare un soggetto come la vita di Santa Maria Egiziaca, protettrice delle prostitute pentite, traendola dalle Vite de’ Santi Padri di Domenico Cavalca, scrittore e religioso appartenente all’Ordine dei Frati Predicatori, vissuto in Toscana tra il 1270 circa e il 1342.

La leggenda medievale, ripresa fedelmente dal Guastalla, racconta di una giovane prostituta atea di Alessandria d’Egitto, la Maria del titolo, nata intorno al 340 e morta nel 421, che convertitasi al cristianesimo durante un pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme, trascorrerà quarantasette anni in solitudine nel deserto oltre il Giordano, per espiare le sue colpe e venendo poi santificata. Le scene, semplici ed efficaci, dello stesso Pizzi sono sottolineate da un magnifico apporto video che dà vivace contorno all’evolversi della salvifica tragedia. La musica di Respighi intrisa di echi di canto gregoriano, musica rinascimentale e monteverdiana, si sviluppa in un ibrido, tra sinfonico e rappresentativo, ben misurato. Interessante il suo lavoro con la voce della protagonista, qui un’intensa e ben recitante Francesca Dotto: Respighi, più che sensuale, la vuole autoritaria, aspra, ferita dal suo lavoro di prostituta che disprezza, e la cantante ben risponde a questo invito, seguendo poi con sincera partecipazione lo sviluppo del personaggio fino all’esaltante finale in cui la si vuole denudata, più che nelle vesti, nella voce. Bene anche il resto della compagnia a cominciare dal baritono Simone Alberghini, come antagonista della prostituta ed esaltato compagno della santa. Di interesse la direzione del maestro Manlio Benzi, ma soprattutto applausi per Pier Luigi Pizzi, che riconsegna ai teatri un titolo da ritrovare, insieme a una leggenda da rileggere.

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