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‘True Detective’ dieci anni dopo

Mentre il mondo intorno a noi è cambiato, siamo alla quarta stagione, al quarto tentativo di ricreare quel particolare e irripetibile successo

Da sinistra: Kali Reis, Jodie Foster e la regista Issa López
(Keystone)
20 febbraio 2024
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Faticate anche voi a focalizzare i vostri cambiamenti, vi chiedete mai che tipo di persone eravate dieci anni fa e in cosa eravate diversi rispetto a oggi? Per quel che mi riguarda c’è un modo semplice per rappresentare il tipo di persona che ero. Ricordo bene che nel 2014 mi lasciavo abbindolare da Matthew McConaughey che con la sua voce profonda e l’accento texano diceva cose tipo: “Penso che la coscienza umana sia un tragico passo falso nell’evoluzione”. Oppure, ancora, dal suo famosissimo slogan: “Time is a flat circle”, qualsiasi cosa volesse dire.

Oh, se ho amato la prima stagione di True Detective! Amavo il gotico noir di Nic Pizzolato, l’autore della serie, i paesaggi rurali filmati dal regista Cary Joji Fukunaga (che grazie a quel successo avrebbe poi diretto 007: No Time To Die), amavo le facce levigate come sassi di Rust (McConaughey) e Marty (Woody Harrelson), le loro chiacchiere filosofiche. Poche serie hanno avuto un impatto sul nostro immaginario come ha fatto True Detective, ma sono passati dieci anni e nel frattempo il mondo intorno a noi è cambiato: ci sono stati il #metoo, la pandemia, Trump presidente degli Stati Uniti (una prima volta) e una nuova guerra in Europa: il tempo, oggi, sembra tutto fuorché un cerchio piatto. Gli enigmi di True Detective, il misticismo, l’indagine esistenzialista sul Male di due uomini – una versione tascabile e suddivisibile in episodi di Apocalypse Now – sono cose invecchiate male, giochini mentali, elucubrazioni infantili.

Oscura e fredda

Oggi siamo alla quarta stagione, al quarto tentativo di ricreare quel particolare e irripetibile successo. Così al posto di Pizzolato (rimasto come produttore) e Fukunaga la scrittrice e regista della serie è una donna, Issa López; e al posto di due uomini depressi ci sono due donne depresse, Jodie Foster e Kali Reis. Il gotico americano è stato rimpiazzato dall’horror nordico dell’Alaska dove, in certi giorni dell’anno, non sorge mai il sole. Tanto per rendere chiaro che True Detective: Night Country vuole essere la stagione più oscura e fredda della serie. Il mistero ruota attorno a un gruppo di ricercatori trovati congelati in mezzo al ghiaccio, in un unico contorto insieme scultoreo. Jodie Foster è una poliziotta cinica e disillusa, con un dramma familiare alle spalle e una figliastra adolescente ribelle, con un caso troppo complicato per gli scarsi mezzi a sua disposizione. Per questo chiede una mano a Kali Reis, una poliziotta di origine inupiat (l’etnia nativa dell’Alaska) con cui in passato aveva rotto i rapporti. E va detto che il magnetismo tra le due attrici è una delle cose più interessanti della serie: non è bello solo il contrasto tra le loro diverse energie, ma anche il modo con cui entrambe contraddicono le apparenze, Jodie Foster piccola e anziana con un’anima durissima, resistentissima, tagliente, Kali Reis (ex campionessa mondiale di pugilato, la vera bella sorpresa della serie) imponente, minacciosa e al tempo stesso fragile.

Il miscuglio di temi più o meno realistici come la violenza di genere, lo sfruttamento ambientale, il colonialismo delle multinazionali, e il paranormale che Issa López in questa stagione spinge al massimo, rende la serie quanto meno confusa. Lo sforzo con cui fa stare in equilibrio i due registri a volte è comico – come quando un personaggio sostiene che bisogna distinguere tra chi vede gli spiriti, i fantasmi, una cosa a quanto pare apertamente accettata in Alaska, e chi invece soffre di disturbi mentali – e difficilmente lo svelamento dell’intreccio finirà per non deluderci. D’altra parte anche quando nella prima stagione abbiamo finalmente scoperto che lo Yellow King era il solito serial-killer squallido e brutto ci eravamo rimasti male: quindi, tutto qui?

Critiche

True Detective: Night Country è stata dapprima accolta bene dal pubblico, con aspettative tanto più elevate quanto era stato grande il fallimento della seconda (soprattutto) e della terza stagione. Issa López ha detto di essersi ispirata “con amore” alla prima stagione, a cui si è voluta ricollegare con ammiccamenti più o meno espliciti di trama e, più in generale, con un’atmosfera più fedele a quel tipo di premesse. Dopo poco più della metà degli episodi, però, siamo già arrivati a Nic Pizzolato che prende le distanze, creativamente parlando, dal lavoro di López dicendo che ci sono delle cose “stupide” in questa nuova stagione ma che i critici non possono prendersela con lui (comunque colpevole della seconda e della terza stagione).

Molte critiche sono ovviamente pretestuose e parte del “review bombing” con cui si sta provando ad affossare la reputazione di True Detective: Night Country è dovuta al semplice odio per il lavoro di una donna, con protagoniste altre donne, che racconta storie di donne. Che i prodotti culturali tradizionali fossero pensati per un pubblico prettamente maschile, e che questo pubblico sia tutt’ora il più chiassoso e attivo quando si sente trascurato, è un problema con cui l’industria sta facendo i conti in questi anni (a spese di prodotti più che decenti trattati come spazzatura, tipo il remake al femminile di Ghostbusters o le supereroine di The Marvels) ma True Detective è per sua natura una serie esposta alle critiche, fin dall’inizio in equilibrio precario tra epicità e ridicolaggine.

Metaforona

Il problema di fondo di True Detective è che si sforza troppo per essere presa sul serio. In questo, sì, anche dieci anni dopo è degna rappresentante dello zeitgeist. Sarebbero bastati, forse, i paesaggi bui e freddi, la notte infinita dell’Alaska, far stare più vicine possibile Jodie Foster e Kali Reis – True Detective oggi è anche una base per meme, in cui proporre coppie improbabili di detective triste e solitari per nuove stagioni, che ne so: Amadeus e Fiorello. Ma López, come Pizzolato prima di lei, non si è accontentata e ha voluto che True Detective si facesse di nuovo metaforona. A un certo punto della quarta puntata Jodie Foster chiede a Reis: “Ti ricordi quando funzionavano le draghe (delle specie di chiatte con una gru metallica per scavare il ghiaccio)?”. “Sì, erano bellissime. Ora stanno lì abbandonate, ad arrugginire, dimenticate”. Jodie Foster ci pensa su, poi arricciando le rughe sulla fronte dice: “Non lo siamo anche tutti noi?”. No, non lo siamo. Ma forse in True Detective si inizia ad avere un po’ di ruggine qua e là.

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