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‘Raffa in the Sky’, la Carrà entra nel melodramma

Al Donizetti di Bergamo riuscita unione tra opera e pop italiano 70/80. Impressiona Chiara Dello Iacovo, troneggia Carmela Remigio, ottimo Carlo Boccadoro

Chiara Dello Iacovo è Raffaella Carrà
(Gianfranco Rota)

Si è chiusa ieri sera al Teatro Donizetti di Bergamo, con la quarta recita in dieci giorni, un’esperienza teatrale che potrebbe lasciare il segno nel panorama melodrammatico della nostra contemporaneità: la felice e riuscita unione tra il mondo dell’opera e il più profondo pop italiano degli anni Settanta-Ottanta; con un colpo di genio lungamente mediatizzato, si è messa in scena la carriera di Raffaella Carrà. La Fondazione Teatro Donizetti, convinta che la distanza che ci separa dal fenomeno Carrà sia ora sufficiente per uno sguardo più disincantato e ironico, sia per i detrattori che per i fan, ha incaricato il giovane compositore Lamberto Curtoni e i librettisti Renata Ciaravino e Alberto Mattioli (conosciutissimo critico e divulgatore nel campo operistico, nonché attivo in qualità di “Dramaturg” a Bergamo), di creare una Fantaopera in due atti, con la regia curata da un altro nome ben affermato nell’ambiente del melodramma, Francesco Micheli, al quale si deve l’idea, curiosa e provocatrice nell’anno di Bergamo e Brescia capitali italiane della cultura.

La trama dell’opera è semplice: un’entità extraterrestre si incarna sul nostro pianeta per redimerlo, battezzata unendo i nomi di due geni dell’arte, Raffaello Sanzio e Carlo Carrà. Si raccontano quindi le sue peripezie, in parallelo con la vita di una coppia, prima innamorata poi in crisi, con un figlio gay. La trama è pure godibile (a eccezione di qualche predicozzo sul finale), con mille riferimenti al personaggio Carrà e ai suoi simboli, caschetto, ombelico, vestiti e mosse craniali: particolarmente azzeccati e convincenti i costumi di Alessio Rosati e la scenografia di Edoardo Sanchi. La musica di Lamberto Curtoni è quanto di più simpatico sia immaginabile, con trovate geniali a partire dall’ouverture, notevole maestria di orchestrazione, e numerosissimi spunti di grande raffinatezza, non da ultimo la fisarmonica ad accompagnare i recitativi. Non vengono lesinate citazioni colte, Čajkovskij, Wagner, Mozart, Monteverdi, e sicuramente altre meno clamorose, ma si propongono soprattutto le hit della Carrà, dal ‘Tuca, Tuca’ a ‘Ma che musica maestro’, da ‘A far l’amore comincia tu’ a ‘Rumore’, rileggendoli attraverso lenti deformatrici e stuzzicanti.

La voce che più impressiona è quella scelta per incarnare la Carrà: è Chiara Dello Iacovo, ventisettenne cantautrice, giunta seconda a Sanremo nel 2016; dopo un nostro primo smarrimento dovuto all’amplificazione della sua voce, unica del cast a utilizzare il microfono, apprezziamo le sue doti vocali e il timbro, così vicino al personaggio incarnato. Voluto, e intrigante, lo scarto di impostazione vocale con gli altri cantanti, tra i quali troneggiava Carmela Remigio, la recente Anna Bolena al Lac. Bravissimo il direttore Carlo Boccadoro a tenere per oltre due ore le fila dell’esecuzione, in un intreccio complesso e multiforme di stili e scritture.

L’operazione è riuscita: la grande tradizione operistica si appropria di un’icona pop, gratificando una buona fetta dei fruitori abituali, e attirando un pubblico meno avvezzo al genere, facilmente convertito ed entusiasta. Il teatro Donizetti ha registrato il tutto esaurito, riempiendo platea e i suoi cinque ordini di palchi: al termine tutti insieme in piedi a cantare e ballare “Tanti auguri, a chi tanti amanti ha...”.


Gianfranco Rota
Al Teatro Donizetti di Bergmo


Gianfranco Rota
Chiara Dello Iacovo

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