Spettacoli

Quando il teatro finisce nell'Oceano indiano

A Roma nasce Radio India, un progetto che vuole recuperare l’intimità dello spettatore all’interno di nuovi spazi e nuovi immaginari

I teatri sono stati messi a tacere ma nel silenzio iniziano a emergere suoni, parole, musica e riflessioni nuove. È quello che sta accadendo da un po’ di giorni con Radio India, un progetto radiofonico promosso dal Teatro di Roma e gestito da Oceano Indiano e Daria Deflorian, una nuova esperienza teatrale che ridefinisce i linguaggi e trova la via per far rivivere attraverso il podcast l’arte scenica.

Si tratta di una stazione radiofonica che trasmette tutti i giorni dalle 17 alle 20 e che vede protagoniste le compagnie teatrali riunite sotto il nome di Oceano Indiano, un progetto di residenze creative ideato da Francesca Corona, consulente artistica del Teatro India, lo spazio dello Stabile deputato alla sperimentazione di linguaggi e di nuove relazioni con il pubblico.

La programmazione di Oceano Indiano doveva iniziare a metà marzo, dopo diversi mesi di lavoro degli artisti residenti – DOM, Fabio Condemmi, Industria Indipendente, MK, Muta Imago – ma poi l’emergenza Coronavirus ha preso il sopravvento. Per far fronte all’improvviso vuoto, alla sensazione di smarrimento stordito dovuto al brusco stop, i protagonisti hanno reagito canalizzando lavoro energie e sinergie createsi durante l’inverno in questa stazione radiofonica liv. Silenzio e distanza sembrano agli antipodi dell’arte teatrale, e invece esperienze come quella di Radio India dimostrano il contrario ridefinendo il significato possibile della parola teatro. Che diventa più immateriale di quanto lo sia mai stato, mantenendo la sua peculiare vivacità. E preservando anche la condivisione con il pubblico, necessaria ma assente in quei tentativi di streaming di spettacoli andati in scena in tempi non sospetti.

Su Radio India troviamo un altro modo di commentare e approfondire i giorni che il mondo intero sta vivendo, affiancati e arricchiti dall’immaginazione di altri mondi.

I programmi sono ideati dalle singole compagnie, ma scorgiamo anche format condivisi, ospiti, parole, musiche, corpi e gesti un po’ come a teatro. Ci sono i silenzi di 4:33, la proposta performativa della Muta Imago che invita gli ascoltatori a riproporre quei 4.33 minuti di John Cage, selezioni musicali, uno spazio dediche, in ricordo romantico di quello che è stata la radio del passato per molti di noi, e il prezioso lavoro di ricerca delle compagnie. Uno spazio aperto, ma soprattutto uno spazio sonoro curato e confezionato ad arte da chi, a detta dei protagonisti, non si vuol sostituire a chi la radio la fa ma desidera ‘rimanere quello che siamo, progettare nei termini in cui sappiamo progettare, confrontarci e a volte scontrarci con una dimensione collettiva del fare creativo prendendo quella forma immateriale che questo tempo sospeso ci ha obbligato ad assumere’.

Radio India si può seguire in diretta o streaming su www.spreaker.com/user/radio_india oppure in podcast su spotify e sui canali online del teatro.

Incuriositi e affascinati da questa esperienza abbiamo voluto parlarne con Riccardo Fazi, drammaturgo della compagnia (e progetto di continua ricerca) Muta Imago

Come è nata Radio India?

Venivamo tutti dai primi 10 giorni di lockdown: il senitre comune era quello di rifiuto e allontanamento da questo bombardamento di contenuti a cui eravamo stati sottoposti nelle nostre case dal web. Ci rattristava però e attanagliava l’idea che per tre mesi si sarebbe interrotto il nostro rapporto con il pubblico.

Abbiamo quindi scelto di parlare con la radio perché è uno dei mezzi che ancora oggi ha un livello fortissimo di intimità, simile a quella dello spettatore a teatro. Inoltre è un’esperienza dal vivo. Rispetto poi ai social, non è invadente, non ti viene addosso, sta a te accendere la radio e sintonizzarti, se ne hai voglia. Intimità e spazio privato delle persone. Queste sono le cose che ci hanno convinto.

E perché preferire la radio rispetto al video, apparentemente più vicino all’esperienza teatrale?

Io credo che in questo momento il suono rispetto all’immagine riesca piu facilmente a essere veicolo di uno o più altrove rispetto alla realtà che stiamo vivendo. Degli altrove che non siano collegati alla quotidianità, come le informazioni. Non volevamo una finestra sulle nostre case, ma una macchina moltiplicatrice di immaginari. Il lavoro sul suono ti permette molto di più. Inoltre si è creato un gruppo forte a livello creativo perché il terreno in cui ci siamo incontrati non era il nostro abituale. La radio è una presenza costante non invasiva.

Com’è Radio India?

Ogni compagnia ha avuto libertà di immaginare i propri contenuti radiofonici. Abbiamo al massimo due programmi per compagnia, per mantenere la costanza. Inoltre come lo è il progetto Oceano Indiano, anche la radio è un luogo aperto per l’esterno (come Extra) e mantiene una relazione intima con lo spettatore attraverso il programma Dedica, o 4.33. È una polifonia di voci.

L’esperienza teatrale si è così ridefinita in una maniera che secondo voi sarà valida anche dopo questa emergenza?

Faccio fatica a definirla esperienza teatrale, quello che facciamo normalmente non è riportabile a questa dimensione. La radio è strumento altro, intercetta le nostre ricerche ma non le nostre forme. Come tutto anche il teatro si deve chiedere come tornerà a una normalità dopo. Ci verrà richiesto di rientrare nel mondo ma in maniera graduale. In questo interregno ci sarà spazio per forme come questa. Sicuramente sarà un momento complesso ma anche molto fertile per le idee e possibilità della ricerca. Me lo auguro.

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