Ho incontrato Pinello

‘Ma quello è un ghepardo’

Cerco un po' d'Africa a Locarno, tra il menù tridimensionale e l'avocado

5 agosto 2023
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Quando lo scorgo al tavolino di un bar lo riconosco subito. Sta trafficando con il suo telefono, è visibilmente contrariato. Pinello non si perde in convenevoli, mi spiega di aver provato ad affrontare il “soggetto pranzo” con la cameriera: “Mi ha consegnato questo”. E mi indica un menù in forma di codice QR tridimensionale. Ora, s’infervora, a parte il fatto che uno è libero di non possedere un telefono intelligente, o di scordarlo a casa, è mai possibile che in questo angolo di “Lombardia sotto mentite spoglie” si trovino solo poke, piattucoli a base di avocado e scimmiottature simil-nipponiche? Provo a chinarmi sulla questione ma Pinello mi ha già preso sottobraccio, alla ricerca di un “volgare panino”.

Non lo vedevo da tempo. Lui, vero animale da Festival, si è preso “qualche anno di congedo”. Pinello da sempre è il tipo che incontri a ogni ora: in corsa fra una sala e l’altra, in Piazza, al bar, in Rotonda, alle feste notturne. Sempre pronto a dire la sua, a un Presidente, a una cinefila incallita, a un ubriaco. Quest’anno è tornato e, seguendo il suo appetito frustrato, mi elenca le novità in cui si è imbattuto. Per ragioni inspiegabili inizia dai vasi con le piante in Rotonda, che lo hanno piacevolmente colpito e che si dice pronto a mangiare tutte in insalata di avocado se ‘Yannik’ vince il Pardo d’Oro o se il direttore artistico dice qualcosa di politicamente scorretto. Poi Pinello passa al “soggetto programma consultabile solo on line”, esprimendo una velata nostalgia per il tascabile cartaceo che perdevi e ritrovavi regolarmente, tempestato di note, simboli e sottolineature; e conclude, considerati i tempi stretti, con un’enigmatica allusione allo “spirito dei tempi”. Quando gli faccio notare che un “festival sostenibile” deve ridurre il consumo di carta, mi fissa col suo sguardo leggermente strabico, indizio che l’argomento non lo ha convinto: “Vai a dirlo in Ghana”.

Cerco il legame segreto fra Locarno e l’Africa centrale, ma Pinello sta già parlando di un altro cambiamento su cui devo trovarmi d’accordo con lui: la prenotazione obbligatoria delle proiezioni. A prescindere da quanto ha già detto, trova del tutto disdicevole l’imposizione sociale di decidere in anticipo ciò che vorrai vedere: “È mai possibile prevedere tutto, senza aprirsi a un imprevisto, a un incontro fortuito, a una sorpresa?”. Vorrei obiettare che così ci si risparmiano tante code, ma Pinello, afferrando una sua ispirazione, mi spiega che ciò che chiamiamo cultura è lo spazio dell’incontro, dell’imponderabile, della rottura. E allora passi tutto, l’impero dell’avocado e quello della rivoluzione digitale che salva le piante e intossica gli umani, soprattutto a cavallo dell’equatore, ma lui, devoto del genere femminile in ogni sua forma, vegetale e animale (#MePinello), proprio non riesce a digerire il manifesto del Festival ruffianamente femminista. La cultura, sentenzia Pinello, anticipa i tempi, non li cavalca. E poi “quello è inconfutabilmente un ghepardo”.

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