Locarno 74

Una grande Françoise Fabian in Piazza

‘Rose’ di Aurélie Saada, un film di autunni e tardi inverni che diventano primavere

Sul red carpet con la regista Aurélie Saada e le attrici Atika Aure e Françoise Fabian
6 agosto 2021
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Che bella Signora è Françoise Fabian, che attrice, il 10 maggio scorso ha compiuto 88 anni, e sullo schermo appare nel ruolo del titolo ‘Rose’ come una signora che a 78 anni si ritrova vedova e soprattutto svuotata dalla vita. Guardandola lo schermo ripensavamo alla sua, di vita: a 27anni era già vedova del grande Jacques Becker e a 55quando anche il secondo marito, l'attore Marcel Bozzuffi, morì, e ora su quello schermo riproponeva nel nuovo personaggio il suo coraggio, che è quello di ogni donna, condannata da un destino di madre e di moglie, dolorante nel parto e addolorata nella vedovanza, ma capace di credere nella vita come nessun maschio sa fare.

La regista, sceneggiatrice e musicista del film, la cantante Aurélie Saada ha scritto: “Rose è la storia di una rivoluzione intima, quella di una donna di 78 anni che, dopo aver perso il suo amato marito, scopre se stessa e si rende conto di essere non solo madre, nonna e vedova, ma anche donna, e che ha tutto il diritto di godere e di desiderare fino alla fine dei suoi giorni”. E con una bella gamma di colori ha dipinto un film di autunni e tardi inverni che diventano primavere. L'autunno è quello delle generazioni più giovani, quelle che non hanno ereditato dai genitori il loro costruire un futuro, ma si sono sciolti in una giovinezza senza maturità nei sentimenti, nella civiltà, nell’edificazione della vita. Il film inizia con una festa ebraica di cui Rose è protagonista insieme al marito, la festa diventa una veglia funebre e subito un funerale, e solitudine. Rose ha perso il senso del vivere, non si lava, ha i capelli che puzzano, non cura la casa e perde la sua mente impegnandola nella stupida televisione. I suoi tre figli l'hanno già seppellita, le chiedono solo di lavarsi, di uscire per un caffè, così perché hanno le loro incasinate vite da trascinare avanti: il più vecchio è dottore in ospedale e si è tuffato da un po’ nella religione, ha dei bambini piccoli, e una moglie attiva, il più giovane è uno scapestrato che rischia il carcere per i suoi loschi affari, la figlia soffre dell'abbandono del marito e vive con la figlia ormai grande.

A nessuno di loro interessa profondamente la madre, e questa da sola, si recupera alla vita, all'amore, al non dimenticare che la morte aleggia ma a infischiarsene più di un Clark Gable in ‘Via col vento’. Tornerà a guidare l'auto dopo quarant'anni, a bere vodka al bar, a comprarsi rossetti e vestiti, a far festa con sconosciuti. Poi si ferma, prima di continuare, a guardare i suoi figli, che pretendono da lei una serietà morale, di cui loro non conoscono neppure l’indirizzo. Bella e agrodolce commedia, con un finale che regala speranza. Agli ordini di Aurélie Saada un bel gruppo di interpreti a cominciare da Aure Atika, Grégory Montel, Damien Chapelle, Pascal Elbé, Mehdi Nebbou. Bella la fotografia di Martin de Chabaneix e da riascoltare le musiche della regista, che non fallisce la sua opera prima.

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