La recensione

‘L’emigrazione ticinese in Australia’, ritorno di un caposaldo

Storia regionale e globale evidenziate nella nuova edizione del libro di Giorgio Cheda, uno dei best seller della storiografia ticinese

14 aprile 2024
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Armando Dadò ha da poco dato alle stampe una nuova edizione – importante sottolineare qui che non è una semplice ristampa - di uno dei best seller della storiografia ticinese. Si tratta di ‘L’emigrazione ticinese in Australia’, la cui prima uscita risale addirittura al 1976. Ne è autore Giorgio Cheda (1938) che, dell’argomento, è il massimo specialista. Sul fenomeno ha scritto libri, saggi e articoli. Sulla base delle centinaia di lettere che gli emigrati scrivevano alle loro famiglie rimaste in Ticino, Cheda ha costruito le sue ricerche, segnatamente nei suoi due ponderosi pilastri ponderosi che ricostruiscono il cammino dei nostri antenati in Australia e in California (quest’ultimo uscito per la prima volta, sempre da Dadò, nel 1981).

Proprio all’Università di Berkeley (California, appunto), Cheda è stato ricercatore ospite approfittandone per raccogliere un’imponente documentazione su circa 27 mila ticinesi che si erano insediati sulle rive del Pacifico e nell’entroterra della West Coast. Le ragioni che hanno spinto lo storico valmaggese a privilegiare questo filone di ricerca sono anche familiari: anche suo padre era emigrato, a 19 anni, in California, dove ha vissuto per un decennio prima di rientrare in Ticino e formarsi una famiglia.

Ma qui parliamo di Australia: i due tomi, di oltre 1'100 pagine, ricostruiscono mirabilmente quell’esodo. Il primo descrive Il Cantone Ticino attorno alla metà dell’Ottocento e le cause che spinsero migliaia di persone a prendere il largo. Il censimento del 1850 ci dice che, negli 8 distretti ticinesi, l’11% della popolazione risultava assente: Leventina (21.56%) e Blenio (15.94%) i più colpiti. Tra il 1843 e il 1873 furono quasi 4'200 gli uomini e le donne emigrati oltremare nei soli distretti di Valle Maggia e di Locarno. Nel secondo tomo vengono pubblicate 326 lettere, spedite tra il 1853 e il 1919 ai familiari in patria. “Una tipologia di fonti che oltre a dar la parola alla gente dimenticata dalla cosiddetta grande storia, apriva nuove prospettive analitiche nell'ambito della storia della vita materiale, della storia delle mentalità e in quello della storia della lingua” sottolinea Cheda.

A spingere quegli esodi oltremare (certamente più radicali, spesso definitivi, rispetto alle partenze stagionali che pure colpirono una Svizzera italiana in profonda crisi economica, dirette in Italia, Francia e altri Paesi del Vecchio Continente, dove si andava per fare lo spazzacamino, il panettiere-pasticciere o per lavorare sui cantieri) a spingerli c’era la crisi economica gravissima che colpiva duro soprattutto in periferia e nelle valli. Sfruttata a proprio vantaggio da agenzie disoneste, spinte dal guadagno e non certo da filantropia o dalla volontà di aiutare i nostri antenati a trovare nuovi sbocchi. “Gli armatori di Amburgo avevano investito parecchio per coinvolgere i migranti nella corsa all’oro in Australia. Quando le autorità tedesche si sono rese conto che quell’emigrazione era anche una speculazione e che le clausole dei contratti non venivano rispettate, le agenzie sono state maggiormente controllate. Si sono così concentrate sulla Svizzera, e più precisamente sul Ticino, unico Cantone a non disporre di una legge che regolasse le attività delle compagnie di migrazione, le quali hanno potuto, tra il 1853 e il 1855, fare il bello e il cattivo tempo. Le condizioni durante il viaggio erano inoltre pessime e i termini del contratto non erano rispettati. Alcuni emigranti non hanno esitato a definire i responsabili delle agenzie dei “macellai di carne umana”.

A distinguere la nuova edizione sono la prefazione di Luigi Lorenzetti - docente all’Accademia di architettura di Mendrisio - e l’introduzione di Giorgio Cheda, che trasuda forte passione civile assumendo la valenza di un lascito intellettuale poiché indicazione di valori, princìpi, punti fermi che hanno guidato la sua attività di ricerca nel corso di oltre mezzo secolo.

47 anni dopo, introducendo la nuova edizione di ‘L’emigrazione ticinese in Australia’, l’autore riconferma i propri intenti: “contribuire all'autonomia del cittadino, spesso al servizio di interessi partigiani anche a causa di una scarsa conoscenza critica del passato”. Ma allarga ulteriormente la prospettiva vista ora nel contesto geopolitico contemporaneo: “Parecchi capitoli dell'eterno incontro-scontro fra gruppi, etnie, religioni e culture, con il relativo seguito di conflitti, collaborazioni e interessi di ogni genere, risultano spesso sfocati, intorpiditi, persino manipolati; comunque quasi sempre semplificati”. Ognuno di noi - sembra volerci dire Cheda - pur nato in un luogo particolare, è anche un potenziale migrante e tutti, indistintamente, abitiamo un’unica terra, casa comune, patria, oggi gravemente malata, se non agonizzante. “Spetta al sapiens decidere se conformarsi alle follie dei tiranni e alle speculazioni dei miliardari, oppure riflettere sul passato per agire nel presente”.

Quella di Cheda non è una storiografia giudicante, anche se non rinuncia a esprimere pareri e convinzioni. “Oggettività non significa né neutralità né indifferenza perché, senza una personale partecipazione alle gioie e tribolazioni del presente, quelle del passato rimangono un'accozzaglia di fatti privi di senso, buone tutt’al più per legittimare (peggio strumentalizzare) le celebrazioni commemorative”

Giorgio Cheda, L’emigrazione ticinese in Australia, prefazione di Luigi Lorenzetti, Locarno, Armando Dadò Editore, 2023, pp. 1120

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