laR+ L’intervista

‘Passeggiate nei piccoli cimiteri’ (una guida illustrata)

È l’ultimo libro di Claudio Visentin, cui si deve il neologismo ‘cimiturismo’, un andar per campisanti ‘con garbo e grazia’

Con disegni di Elena Bonini
14 aprile 2024
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“Dormono, dormono sulla collina” cantava De Andrè mettendo in musica i versi de ‘L’Antologia di Spoon River’, capolavoro di Edgar Lee Masters nonché esempio, tra i più celebri, di letteratura cimiteriale.

Gli abitanti di una cittadina americana rivivono così attraverso una serie di poesie in forma di epitaffio che raccontano la loro vita. ‘Passeggiate nei piccoli cimiteri’, uscito con Ediciclo e firmato da Claudio Visentin, conserva senza dubbio lo spirito del suo predecessore concentrandosi però sull’esplorazione dei piccoli cimiteri di campagna, sia abitati sia abbandonati, disseminati lungo tutto l’Appennino. Una sorta di guida illustrata che invita all’immersione in un silenzio e in un tempo diversi, dove entrare in un mondo altro, deserto ma, al contempo, affollatissimo. Insegnante di Storia del turismo all’Università della Svizzera Italiana, scrittore e giornalista per ‘Azione’ e per Il Sole 24 Ore, Visentin è anche un infaticabile viaggiatore. Nel 2005 è tra i fondatori della Scuola di Viaggio, associazione che insegna a raccontare i luoghi attraverso la scrittura, la fotografia e il disegno.

Oltre a essere docente e scrittore lei è anche coniatore di un felice neologismo. Che definizione darebbe del suo cimiturismo?

La definirei come una tipologia di viaggio in quei cimiteri dove sono sepolte persone a noi estranee. Ho inventato questo termine circa una ventina di anni fa. Il fenomeno negli ultimi tempi è cresciuto tantissimo. I cimituristi non sanno in realtà di essere in tanti, pensano di star facendo qualcosa di un po’ strano, di avere interessi bizzarri. Ci sono diversi modi di andare per cimiteri. Personalmente rifuggo da quelli più frivoli e macabri. L’esperienza, a mio avviso, va fatta con garbo e grazia. Come diceva Totò “Sti ppagliacciate ’e ffanno sulo ’e vive: Nuje simmo serie… appartenimmo â morte!”.

Quando si parla di letteratura cimiteriale non si può non pensare alla celebre Antologia di Spoon River. Quanto è stato di ispirazione il capolavoro di Masters per il suo libro?

Spoon River è stato importantissimo. Questo è il mio quarto libro, ma è il primo che scrivo non pensando al pubblico. Mi sono concentrato su una dimensione più personale legata anche a un lutto. Un’altra fonte preziosa è stata l’Antologia Palatina, opera di età ellenistica contenente una selezione di epitaffi molto toccanti. Nel prendere le misure alla morte mi è stata più utile la poesia della letteratura. Il mio libro è una piccola antologia poetica personale.

Uno dei capitoli si intitola ‘Dell’amore e della morte. L’arte perduta dell’epitaffio’. Cosa raccontano i cimiteri?

Trovo i cimiteri urbani e, più in generale, quelli più recenti, molto brutti, scombinati. Oggi si è perduta l’arte dell’epitaffio. Le lapidi sono fatte di marmo, con delle foto a colori di una persona anziana senza nessuna scritta che la ricordi. Nei piccoli cimiteri di campagna, invece, ci sono ancora delle belle foto in bianco e nero accompagnate da un epitaffio. La tomba è luogo di memoria, è il posto in cui vivi e morti possono incontrarsi ancora. Per questo l’epitaffio è un elemento irrinunciabile. Non può essere lunghissimo, s’intende, perché va scolpito, inciso o apposto lettera per lettera, basterebbe un pensiero. A mio parere il nostro rapporto con la morte è peggiorato perché abbiamo perso l’abitudine di scrivere sulle tombe.

È possibile recuperare le vicende dei suoi abitanti a partire dalle loro tombe?

Assolutamente sì. Quelle che troviamo nei piccoli paesi sono esistenze un po’ anonime, ma che spesso nascondono storie particolari. Sull’Appennino ho trovato la tomba di un morto della Grande Guerra. Sui caduti in battaglia oggi è possibile recuperare in rete diverse informazioni, si può risalire al singolo soldato e scoprire quando e in quale azione è morto. È un po’ come tornare sul campo di battaglia. Giuseppe Barbieri, ad esempio, muore nel 1919 su una nave. La lapide riporta il nome bastimento, specificando che fu affondato nel mare Adriatico. Ho subito pensato che il caso fosse molto singolare. Nel ’19 la guerra era finita, mi sono chiesto come fosse possibile. Dopo qualche ricerca online ho scoperto che in quell’anno una truppa era stata mandata a riconquistare la Libia. Sfortuna volle che si fosse imbattuta in una mina abbandonata in mare.

In un’altra occasione mi sono trovato di fronte a una tomba vuota. Il proprietario era morto in New Mexico. Ho chiesto notizie a due persone che erano lì. Una ha risposto che il morto era il fratello della nonna. Sono corsi a casa a prendere un pacco di lettere da farmi leggere e, grazie a quella corrispondenza, ho scoperto così cosa accadde il giorno della morte: era la notte di Capodanno e, dopo i festeggiamenti, lui volle fare ancora una passeggiata prima di tornare a casa, ma era buio e fu investito.

I piccoli cimiteri raccontano moltissimo. Non amo quelli monumentali però, perché cercano di eternare nell’aldilà le distinzioni sociali dell’aldiquà. Il ricco ha una tomba statuaria, il povero no. Per parafrasare ancora Totò, la morte ha qualcosa di democratico, rende tutti uguali, livella le persone.

Per ricostruire la storia di un cimitero è necessario recuperare qualche indizio. Da quali fonti ha attinto? Cosa bisogna osservare?

Il mio libro è basato soprattutto sull’esperienza. È un po’ come un manuale, anche se parla nello specifico di alcuni cimiteri. Quello che cerco di trasmettere è una metodologia di approccio a questi luoghi. Far capire cosa fare e che tipo di sentimenti coltivare. Moltissimi cimiteri dopo l’occupazione francese nel tempo di Napoleone si sono spostati fuori dal perimetro abitato. Hanno tutti un muretto che li circonda, un portale e una piccola cappella in fondo con una grande croce al centro. C’è quindi una tipologia architettonica che, a partire da metà ‘800, accomuna questi posti. I bei disegni di Elena Bonini che accompagnano i miei testi rendono bene l’idea delle atmosfere e del contesto. Ma l’architettura non era il mio interesse principale. Le mie passeggiate sono una forma di educazione sentimentale.

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