laR+ Distopie

Le dita dei servi e le impronte dei padroni

Partendo da ‘Pensieri spettinati’ di Stanislaw Lec (1909-1966), il collage perfetto degli aforismi, da Eco a Kraus a Kolakowski a Joseph Roth

Stanislaw Lec

Il peggiore dei mondi possibili non è quello dalle condizioni di vita proibitive, delle catastrofi ambientali, ma quello deserto di umanità, insolidale, cieco nel vedere il disagio e le paure dell’altro. A quel mondo si riferiscono le distopie vere, non escluse quelle travestite perché i generi letterari, quando si va davvero al fondo, non contano nulla. Stanisław Lec (1909-1966) fu autore di una vera fuga da scrittore satirico, che risultò uno dei suoi migliori aforismi. Aforisma figurato. Grazie alla sventatezza e alla pronuncia perfetta del tedesco, esce dal campo di concentramento dov’era recluso travestito da SS. Immagino la preparazione della fuga e il brevissimo epilogo, oltrepassare il cancello (il vero aforisma). L’animo ilare e per nulla trepidante.

Gli aforismi di ‘Pensieri spettinati’ (1957) non si riferivano al regime di Stalin, come si pensò, perché tanti furono covati sotto quello di Hitler, ma si riferivano a entrambi perché parlano di ogni società. Ecco cos’è aver perso la democrazia, ammonivano. Ed ecco cosa dovete diventare per perderla, dicono a noi oggi. Pensieri per ogni governo e per le più armoniose democrazie, per ogni essere umano appena inizia a svilirsi, auto-ingannarsi, vendersi in pezzi: i pensieri e i sentimenti, le parole, l’anima. E per le canaglie naturalmente: i carnefici con lo stuolo dei servitori, dal generale, servitore in capo, al caporale e alla folla di inservienti, molti senza divisa.

Abbiamo imparato a conoscere Leopoli, il luogo di nascita di Lec, negli ultimi due anni. Come sia stata polacca, russa e ucraina, con il lungo e decisivo intermezzo nell’impero austro-ungarico. Le bibliografie sull’impero austro-ungarico sono piene di libri che ne illustrano la brutta fine inevitabile. Alcuni sono una condanna senza appello, in letteratura troviamo invece molte sfumature: dalla satira spietata e ugualmente aforistica di Kraus, alla cronaca lirica e nostalgica di Joseph Roth. Ma alla caduta di quell’impero cos’è successo? Lec scrive: “Prima di nascere, sono stato cauto fino al punto di chiedere: – ‘Chi governa ora?’ – ‘Francesco Giuseppe I’. Quindi mi sono arrischiato a venire al mondo perché stupidamente mi sono dimenticato di chiedere: ‘E quanti anni ha quel monarca?’. Ne aveva allora settantanove. Che cosa sia successo poi, lo sapete bene da soli”.

The best of

Ora la tentazione è di cominciare un collage, non solo degli aforismi ma di brani critici affascinati della figura del loro autore. Per la biografia, Umberto Eco: “Famiglia di nobili (baroni) ebrei viennesi-galiziani di Leopoli, giovinezza austro-ungarica, perseguitato dalla Gestapo, resistente, emigrato per qualche anno in Israele, poi tornato in Polonia e quivi impertinente a pieno tempo...”. Per il suo ‘programma’, la riflessione di Leszek Kołakowski: “... denudare tutti gli assunti nascosti nelle parole, essere capaci di non risparmiare niente di ciò che nell’innocente banalità è veleno invisibile, vigliaccheria, fuga di fronte al conflitto reale, pigrizia mentale e morale”.

Gli aforismi di Kraus, più noti, sono anche più sprezzanti e incapaci di speranza. In Lec l’amarezza non esclude un’apertura che alla fine prevale. La dignità dell’essere umano, il coraggio – sembra pensare – perdurano da qualche parte, o rinasceranno. Sempre si troverà chi segua questo consiglio: “Quando cadono le teste, non abbassare la tua” – anche prima di ascoltarlo. Altri hanno la stessa forma di monito: “Chi porta il paraocchi si ricordi che del completo fanno parte il morso e la sferza”. Oppure: “Bisogna moltiplicare le idee al punto che non vi siano guardiani sufficienti per controllarle”. O questo, tra i tanti imparentati tra sé: “Quando gridano: ‘Evviva il progresso’, chiedi sempre: ‘Progresso di che?’”. Si può definire un aforisma anche per la sua brevità? Se è così estrema da raddoppiarne l’efficacia, forse sì: “Nella lotta delle idee, muoiono gli uomini”.

Continuo a tentare definizioni per aggiungere colla al collage, per non darli l’uno dopo l’altro senza soluzione di continuità. E d’altra parte vorrei mettercene più che posso in queste 5’000 battute. L’aforisma paradossale: “C’è un’altra cosa nell’uomo che lo rende superiore alla macchina: sa vendersi da solo”. E l’analogico: “L’effetto della pressione dipende dal materiale, alcuni diventano più piccoli, altri più grandi”. Alcuni non riesco a definirli, per quanto me li ripeta fra me moltiplicandone l’effetto: “La nostra ignoranza raggiunge mondi sempre più lontani”. Ma i brevi o brevissimi si possono trascrivere davvero senza soluzione di continuità, come si susseguono nella raccolta, in fondo. Eccone tre ben calzanti per una dittatura e trasparenti e afferrabili al volo, purtroppo, nelle nostre democrazie incespicanti: “Anche un manganello può indicare la strada”. “Con una fila di zeri è facile fare una catena”. “Le dita dei servi dovrebbero lasciare le impronte dei padroni”.

Se c’è una parola superflua fino alla molestia, parlando di classici, è “attuale”, perché la parola “classico” la comprende. Ecco, così, due aforismi classicissimi: “La tecnica arriverà a una tal perfezione che l’uomo potrà fare a meno di se stesso”. “In principio era il Verbo – e alla fine le chiacchiere”.

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