Culture

Dieci, cento, mille italianità elvetiche

Un volume curato da Marco Marcacci, Nelly Valsangiacomo e Rosita Fibbi racconta la complessità dell’italiano in Svizzera: non solo linguistica

10 febbraio 2024
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Si è parlato di lingua italiana, alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano. Ma non solo perché una cosa chiara a tutti i relatori della serata è che, quando si parla di lingua, in realtà si parla d’altro: di identità sociale e culturale, di politica, di formazione, di immigrazione. Ad affermarlo esplicitamente, in apertura del suo intervento, lo storico Marco Marcacci, curatore, insieme a Nelly Valsangiacomo e Rosita Fibbi, del volume ‘Italianità plurale: analisi e prospettive elvetiche’ (Dadò 2023) dal quale è partita la discussione. Marcacci è partito da una citazione di Gramsci – “ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la quistione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi” – che ha interpretato come una sorta di relativizzazione del problema linguistico: non nel senso che sia trascurabile quale lingua è parlata da una parte della popolazione, ma nel senso che guardare a quella lingua non è un discorso solo linguistico, ma apre il discorso a una moltitudine di aspetti. Aspetti che, chi vuole affrontare la “questione linguistica” deve avere il coraggio di affrontare. Durante la serata si è infatti parlato di politica culturale cantonale e federale, di come poche scuole in Svizzera prevedano l’italiano nonostante le raccomandazioni della Cdpe (Conferenza delle direttrici e dei direttori cantonali della pubblica educazione), della incerta situazione delle cattedre di italianistica nelle università svizzere, di immigrazione italiana, di come sia cambiata la situazione sociale ed economica di chi era arrivato negli anni Quaranta e Cinquanta, del confronto con ondate migratorie più recenti; e anche – ne ha parlato in particolare la consigliera di Stato Marina Carobbio Guscetti – del progetto di riduzione del canone radiotelevisivo, indebolendo il contributo che il servizio pubblico può offrire alla comunità italofona.

Ammesso che parlare di “comunità italofona” al singolare abbia senso. Perché lo scopo del libro è appunto quello di valorizzare le tante dimensioni dell’italianità. Innanzitutto perché – l’ha ricordato il presidente dell’Associazione Biblioteca Salita dei Frati Aurelio Sargenti – a fianco di una Svizzera italiana dai confini relativamente stabili c’è una parte importante della popolazione svizzera che parla o comunque comprende l’italiano: oltre il 40 per cento degli abitanti ha una conoscenza almeno superficialmente dell’italiano e in ben cinque cantoni (Zurigo, Argovia, Basilea Città, Ginevra e Glarona) la percentuale di italofoni è superiore al 5 per cento.

La lingua italiana in Svizzera – riprendiamo l’efficace metafora utilizzata da Pietro Montorfani, responsabile della Biblioteca Salita dei Frati – non è un monolite opaco, ma un prisma che cambia colore a seconda di come lo si guarda. E il volume pubblicato da Dadò presenta alcuni di questi colori, attraverso una quarantina di brevi contributi – sempre Marcacci ha sottolineato come sia stato difficile contenere la verbosità di alcuni autori o autrici, senza tuttavia fare nomi – raccolto in cinque capitoli: Politica linguistica, Cultura, Identità, Associazionismo e Immigrazione. Già l’indice del libro dà un’idea della vitalità della lingua italiana in Svizzera e della sua importanza quale strumento di coesione sociale oltre che come veicolo di espressione culturale e identitaria.

La pubblicazione del libro è promossa da Coscienza Svizzera che con questo volume prosegue il lavoro di indagine sull’italianità in corso da diversi anni. Come ha spiegato il presidente Verio Pini, Coscienza Svizzera «ha cercato di accompagnare questa riscoperta dell'italianità, in particolare Oltralpe, sottolineando un dato che forse non a tutti piace sentire perché evidentemente ha anche delle implicazioni sul piano finanziario e istituzionale: l'equilibrio dell'italianità non è più quello di vent'anni fa, è un equilibrio in cui la componente di italianità, nella sua complessità, è più importante a Nord delle Alpi che nella Svizzera italiana».

“Complessità” è indubbiamente stata una delle parole chiave della serata (e del libro presentato). Ma, al netto della varietà di esperienze e di punti di vista, Marcacci ha voluto sottolineare come – nel complesso e al di là di alcune criticità come l’insegnamento dell’italiano nelle scuole in Svizzera tedesca e romanda – «la situazione mi sembra meno grave di quello che si potrebbe pensare guardando a certe analisi sul declino dell’italiano: non dobbiamo pensare che ci sia stata un’età dell’oro dell’italiano in Svizzera». Aggiungendo che, se c’è una lingua minacciata è «il buon tedesco, minacciato dallo Svizzero tedesco».

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