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Vi scrivo dai Fiordi Occidentali Islandesi

In viaggio verso l’estremo nord a caccia di suoni, in un posto in cui staccare la spina dal resto del mondo, e dove il tempo scorre in modo diverso

Le cose si fanno quando c’è luce
(Haukur Sigurðsson)
23 gennaio 2024
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Tra febbraio e marzo 2023 lo scrittore e regista Flavio Stroppini mi chiama dal 68esimo parallelo Nord nella Groenlandia occidentale durante le poche ore di connessione che ha a disposizione nella settimana. Mi racconta che sta scrivendo il testo di uno spettacolo teatrale ambientato nel Circolo Polare Artico e che avrà bisogno di una colonna sonora. Da qui parte la mia avventura nei Fiordi Occidentali Islandesi. Più precisamente a Ísafjörður.

Mentre sto aspettando di partire dall’aeroporto di Reykjavik, davanti a un caffè caldo, leggo una notizia in un quotidiano islandese ma di lingua inglese: “Per la prima volta nella storia, a partire dall’insediamento 1’150 anni fa, in Islanda ci saranno più persone che pecore”. Inizia così il mio viaggio verso l’estremo Nord dei fiordi occidentali nei quali trascorrerò un mese.

Dopo un volo interno di circa 35 minuti che parte dal domestic airport di Reykjavik si atterra nel piccolo aeroporto di Ísafjörður - fiordo dei ghiacci.

Ísafjörður è una cittadina di 2’600 anime incastonata nei fiordi affacciati sul Mare del Nord. Al mio arrivo incontro Elísabet e Sonia, le due responsabili di ArtsIceland, il centro culturale del quale sarò ospite. Ogni anno, innumerevoli artisti di ogni provenienza hanno la possibilità di immergersi nel proprio progetto creativo staccando la spina dal resto del mondo.

Essendo una piccola comunità, ti senti accolto da persone molto gentili e disponibili ad aiutarti, in contrapposizione alla realtà spigolosa di questa terra vulcanica e a tratti aliena. Tutti si conoscono e difficilmente puoi passare inosservato, soprattutto d’inverno, quando di turisti qui non ce ne sono e le temperature raggiungono i -20/-30 gradi.

Dopo pochi giorni mi rendo conto che il tempo scorre in modo diverso rispetto ai luoghi nei quali sono stato sino a ora. Le cose si fanno quando c’è luce, dalle 11 alle 16 nei mesi più duri, per il resto ti adatti e trovi delle soluzioni alternative.


Haukur Sigurðsson
La vista è da togliere il fiato. Il vento è forte, ma trovo un posto dal quale registrare

Durante i mesi invernali, che in Islanda durano circa da novembre a marzo, si va a dormire con il buio e ci si sveglia con esso e la non abitudine a tutto questo può essere uno degli aspetti più complessi dell’essere qui. Ma in questo periodo c’è la possibilità di assistere all’heure bleue nella quale la luce rossa attraversa lo spazio mentre la luce blu viene dispersa nell’atmosfera, raggiungendo così la superficie terrestre.

“Ouvre des perspectives nouvelles, à l’horizon de la conscience”, dice la scrittrice canadese Gabrielle Roy e “l’espérance infinie, l’infinie attente des hommes”, l’esperienza del sublime si incontra con un aspetto mistico inatteso come se ascoltassimo le ‘Vision Fugitives’ di Serge Prokofiev o ‘A case of You’ dall’album ‘Blue’ di Joni Mitchell. Colori pastello si alternano nel cielo facendo da contrasto a un mare nero prevalentemente fermo, che si insinua tra i fiordi dove l’acqua dolce delle sorgenti si mescola a quella salata del mare creando la cosiddetta ‘zona di transizione’.

Gli effetti del cambiamento climatico sono visibili a occhio nudo. I mesi invernali sono sempre stati innevati e ghiacciati e l’unica strada verso Ísafjörður perlopiù chiusa. Ora la terra è spoglia e secca. A dicembre è nevicato, ma ora solo la punta delle montagne mostra un po’ di bianco residuo. La scorsa settimana abbiamo toccato gli 8 gradi, temperatura impensabile in questo periodo. “Il clima – dice Elísabet – è sempre imprevedibile qui”.

Assieme ad Haukur, fotografo e guida di Ísafjörður, organizziamo una ‘field recording’ in cima al Bolafjall, monte dal quale si possono vedere i fiordi e che si affaccia verso la Groenlandia. La vista è da togliere il fiato. Il vento è forte ma trovo un posto dal quale poter registrare. Onde che si infrangono sulla scogliera, il gracchiare dei grandi corvi neri che qui hanno un dialetto diverso in base al paese in cui ci si trova, i passi sul ghiaccio e la neve, i sibili del vento che si prende il suo spazio nella scogliera a picco sul mare. Ascolto tutto dalle mie cuffie, ricurvo sui microfoni cercando di proteggermi dal freddo pungente. Da qui vedo il sole per la prima volta dopo 15 giorni ed è una vista meravigliosa. Sembra di essere fuori dal tempo e da questa altura percepisci l’imponenza di quest’isola.

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Ogni giorno cammino fino al porto per pensare, respirare e prendermi quel tempo che non ho mai nella mia vita abituale, lontano dalla frenesia della città. Nonostante la quantità di musica che devo scrivere e consegnare, riesco a rallentare e godermi gli attimi inattesi che questo luogo ti dona.

A volte prendo il caffè con Geirhjörtur, ex pescatore di 70 anni che ha vissuto lo sfarzo e il declino dell’industria della pesca. Mi racconta che negli anni 80 Ísafjörður era il centro più importante della pesca islandese: “Il peschereccio con la tecnologia più avanzata si trovava proprio qui”. Lui non era mai salito, ma se lo ricorda bene: “Il declino è iniziato quando il governo islandese ha introdotto le quote di pesca. Questo è stato un grande colpo per tutti i paesi dei Fiordi Occidentali”, dice.

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Bergþór, amico sound designer, mi aiuta a trovare una piccola imbarcazione di pescatori disponibili a portarmi in mare durante la giornata di pesca, nella quale avrò modo di registrare innumerevoli suoni che mi serviranno per comporre la musicale dello spettacolo ‘Qivittoq’ del regista ticinese Flavio Stroppini, che ad aprile sarà in scena al Teatro Sociale di Bellinzona. Mi dicono che devo pensare a me, portarmi il cibo e l’acqua e che loro non avranno tempo di starmi dietro. Mi chiedono se fossi mai andato in mare aperto, e ridendo: “Questo non è il Mediterraneo. Al di là di questo fiordo c’è il Mare del Nord. Quando partiamo è fatta, si torna indietro dopo 6 ore.”

Il buio avvolge la barca e sento il cuore pulsarmi nella testa. Il mare è nero come la pece e il cielo scuro senza rifrazioni di luce. Ci allontaniamo poco per volta, costeggiando la riva sino all’uscita in mare aperto, puntando verso la Groenlandia. Sono talmente emozionato che quasi mi dimentico di preparare il materiale per registrare. Le onde si infrangono sia a babordo che a tribordo e i suoni del vento e del mare si mescolano al vociare degli uomini che lavorano senza sosta nelle poche ore a disposizione. Mi faccio spazio in un anfratto cercando di non cadere, di registrare e restare attaccato dove posso. Prendo fiato e mi guardo intorno. Sono nel Mare del Nord, libero e con la testa leggera. L’emozione mista alla paura mi fa contrarre il viso in un sorriso quasi nascosto. Il mare scuro e questo cielo fosco improvvisamente diventano familiari e mi lascio trasportare dalle onde. Quando rientriamo in porto mi dicono ridendo: “Bravo, non hai nemmeno vomitato con l’odore del pesce e della salsedine”.

Rientro camminando verso la residenza pensando alle prossime avventure che mi porteranno a registrare in luoghi che mai avrei pensato di visitare. I suoni e la musica cominciano a prendere forma nella mia testa. Rallento e mi rendo conto di essere connesso in qualche modo a questo luogo.


Haukur Sigurðsson
Andrea Manzoni

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