‘La peste scarlatta’ di Jack London: mentre il Consiglio dei Magnati dell’Industria domina il mondo, un’epidemia cancella la razza umana...
Vittorini presentando Jack London in ‘Americana’, nella sezione che è già una definizione “Leggenda e verismo”, sostiene che “nessuno dei suoi romanzi è particolarmente notevole. ‘The Sea-Wolf’ e ‘The Call of the Wild’ ci sembrano i più significativi”. Poi infila nell’antologia ‘Accendere una fiammata’ (To build a Fire), racconto di grande potenza. Allora pensi che Vittorini fosse troppo esigente e anche che la nostra letteratura – nostra nel senso di mondiale di oggi – sia piuttosto decaduta da allora.
Pensato questo, ti dici che ‘Americana’ resta l’esemplare antologia che è sempre stata o che il suo valore aumenta. Borges con ‘Jack London’ è più buono (“la vitalità che animò la sua vita anima l’opera”), ma lui non smise mai di amare i libri d’avventura letti e amati da ragazzo, Kipling e Stevenson su tutti. Nelle due pagine che gli dedica nella Introducción a la literatura norteamericana scritta con Esther Zemborain, accenna ai mestieri praticati dallo scrittore: lavorante di fattoria, venditore di giornali, vagabondo, capobanda, marinaio. E “Non furono estranei alla sua esperienza la mendicità e il carcere”.
La lista condivide una sola attività con quelle elencate dalla Larousse: “venditore di giornali, raccatta-birilli in un boowling, cacciatore di gatti per la pelle, schiumatore in un allevamento d’ostriche, cacciatore di foche in Giappone”. Altri ne mancano, certo, e cercatore d’oro si dà per scontato.
I difetti che si addebitarono alla sua prosa – prolissità, trascuratezza – sono quelli di tre quarti dei libri di avventura anche di notevole valore. Ma nulla della vita di London poteva condurre alla raffinatezza. ‘To build a Fire’, in ogni caso, smentisce tali critiche. Mi attardo su questo racconto breve perché ha qualcosa di post-apocalittico. Un uomo solo nella neve deve raggiungere l’accampamento dei compagni. Arriva la sera e la temperatura scende: meno 50, meno 60... Un cane è con lui. Prova e riprova ad accendere un fuoco, la sola salvezza. Ci riesce tre volte ma anche la terza si spegne.
Dei quasi cinquanta libri scritti, seppure tre o quattro avessero la forza di ‘To build a Fire’, London avrebbe compiuto il suo destino di scrittore. E sappiamo che sono più di tre o quattro.
‘La peste scarlatta’ appare come il rovescio de ‘La strada’ di McCarthy, in cui un padre lotta per la sopravvivenza rassicurando e proteggendo il figlio. Qui troviamo un vecchio e tre ragazzi suoi nipoti. Il vecchio – verremo a sapere che ha 87 anni e si chiama James Howard Smith; quasi diremmo si chiamava, tanto è stravolta la sua vita – condotto da loro non fa che lagnarsi ed esigere cibo che gli ricordi la vita che conduceva sessant’anni prima. Non trovano che cozze e granchi, vagando per la baia di San Francisco, ma lui va matto per i granchi. Presto la storia diventa il racconto di un racconto. I ragazzi gli chiedono di questa peste scarlatta che ha sempre sulle labbra e che ha quasi distrutto l’umanità. E lui raccontando ritrova l’inglese perduto, uscendo dal gergo franto e misero che conoscono i nipoti.
London scrisse la sua storia nel 1910 – stesso anno di ‘To build a Fire’ – e appena incontriamo una data è istintivo fare calcoli. Più istintivo trattandosi di una distopia. Edwin trova “un dollaro d’argento tutto ammaccato e annerito”. Il nonno vi legge “2012” e dice: “Quell’anno Morgan V veniva eletto Presidente degli Stati Uniti dal Consiglio dei Magnati. Dev’essere una delle ultime monete coniate perché la Morte Scarlatta è sopraggiunta nel 2013”.
Sono passati sessant’anni, siamo dunque nel 2073. Cos’è accaduto da allora? Con molti nomi e fatti, nel dettaglio il vecchio descrive un mondo in cui gli esseri umani si ridividono in cacciatori o prede, i servi si fanno padroni dei padroni, i superstiti si uniscono in tribù di sette o venti membri. “Noi che avevamo dominato il pianeta, la sua terra, il suo mare e il suo cielo, noi che eravamo veri e propri dèi, ora viviamo allo stato selvaggio, primitivo, lungo i corsi d’acqua di questa regione, la California”.
Ti domandi quali esperienze abbia avuto l’autore per poter raffigurare tanto intensamente una storia apocalittica. La sua vita ha potuto portare a questo molto naturalmente, nelle lotte per sopravvivere viste e combattute. Ma la curiosità è in parte oziosa: in ‘Americana’ solo Frank Norris e O. Henry separano London da Stephen Crane e dal suo ‘Segno rosso del coraggio’, “leggendaria e veristica” narrazione sulla guerra di secessione, della quale l’autore non aveva alcuna esperienza. Né di altre guerre o esperienze vicine a quelle londoniane.
Da anarco-socialista diventato ricco, pur con la vita infame precedente, alcuni studiosi (accademici) storsero il naso allo yacht e alla villa di London. Una questione ricorrente ma oziosa anche questa. “¿Será buena persona el cocinero?”, così Javier Marías liquidava sospetti simili. Per pochi è indispensabile l’integrità morale - se diventare ricchi è immorale di per sé - come per gli artisti.
Scrivere fu uno dei suoi innumerevoli mestieri, il meno pratico e il più redditizio per lui e per noi. Lo affrontò concretamente come aveva dovuto affrontare gli altri.