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Il paradiso è una biblioteca

In un piccolo e prezioso libro di Jesús Marchamalo un'appassionante e ironica difesa del libro e del piacere della lettura

Libri su libri su libri
13 novembre 2023
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“Ci sono libri – fateci caso, d’ora in poi – che ritroviamo in tutte le case, che appartengono a tutti coloro che conosciamo. Quando sbircio nelle librerie altrui non c’è volta che non trovi ‘Il Piccolo Principe’ di Saint-Exupéry, il ‘Don Chisciotte’, praticamente onnipresente, e ‘Il nome della rosa’ di Umberto Eco. Compaiono spesso anche ‘Lo straniero’ di Camus e almeno un volume della trilogia di Stieg Larsson. (...) Secondo Luis Landero, le librerie sono piene di tunnel e passaggi segreti che le collegano con altre librerie: quelle di amici, nemici, conoscenti, ma anche di Monica Bellucci o di Kafka. I libri, alla fine, arrivano a disegnare un territorio comune, sono le frontiere dichiarate del paese immaginario in cui ci muoviamo”.

L’atto solitario della lettura crea ponti immaginari verso gli altri lettori: l’idea borgesiana di connessioni, intersezioni e sintonie tra le biblioteche private, così fitte da formare una biblioteca universale, un catalogo di promesse che per molti lettori sarebbe una raffigurazione plausibile e sommamente auspicabile del paradiso, è una delle tante suggestioni offerte da ‘Toccare i libri. Una passeggiata romantica e sensuale tra le pagine’ (edito nel 2011 da Ponte alle Grazie), in cui il giornalista e divulgatore spagnolo Jesús Marchamalo, in sessanta pagine appena, ordisce una deliziosa e pericolosa istigazione all’accumulo sconsiderato di libri. O di ‘volumi’, come preferisce chiamarli, perché “la parola ‘volume’ ha un diverso peso culturale. Passata una certa età, non si possiedono più libri, ma volumi. Oppure esemplari”.

Quanti libri avere

Ma quanti conviene possederne? Si può stabilire o anche solo ipotizzare il numero esatto o ideale di libri che una casa può ospitare o sopportare? A chi ne acquista in modo compulsivo, ripromettendosi di leggerli in un futuro indefinito o forse mai (possederli, toccarli, annusarli può dare una soddisfazione persino superiore a quella che si ricaverebbe leggendoli), qualsiasi quantità sembrerà sempre troppo bassa, a meno ovviamente che non stia affrontando un trasloco. Georges Perec proponeva 343, forse un beffardo e bifronte omaggio a utopie calcistiche olandesi, salvo poi divertirsi a far saltare il banco con un cavillo mica da ridere. Già, perché ci sono libri che, per varie ragioni, sono suddivisi in più volumi: la ‘Recherche’ di Proust, i ‘Sonnambuli’ di Hermann Broch, ‘2666’ di Bolaño. La ‘Recherche’ vale per uno o, come le figurine delle squadre più forti nella Borsa Valori della nostra infanzia, vale per sette?

Bisogna allora tener conto di una certa unità di stile, contenuto e poetica, per cui un’opera, benché suddivisa in più tomi, conterebbe come un volume unico? E l’opera completa di uno scrittore non compone, in fin dei conti, un unico grande volume, di cui ogni libro non è che un frammento? A maggior ragione, poi, quando si tratta di uno scrittore che, gira e rigira, non ha fatto altro che riscrivere lo stesso libro (e non è detto che ciò sia un male). E che dire, volendo esagerare, dei volumi – decine, di solito – di un’enciclopedia? Domande forse oziose, ma di estremo interesse per chiunque abbia contratto il morbo bibliofilo.

Sbarazzarsi dei libri

Dio non voglia, al contrario, che per varie sciagurate ragioni ci si ritrovi nella necessità di sbarazzarsi di scatoloni di libri, perché anche i più inutili e improbabili (l’usurpatore di queste righe ne ha trovati di insospettabili nella biblioteca di Gesualdo Bufalino) servono a tracciare un identikit del loro proprietario, delle sue passioni e dei suoi interessi, del lettore che è, che è stato, che avrebbe voluto essere. Non è per niente facile: “si può buttar via praticamente qualsiasi cosa senza scalfire la propria onorabilità sociale: cambiare i mobili della cucina, le poltrone stile impero del soggiorno, il divano, qualsiasi cosa... tranne i libri”.

Si possono regalare agli amici, abbandonare sulle panchine nei parchi, buttare nei cassonetti della spazzatura (come fece eroicamente Enrique Vila-Matas con i suoi libri di diritto, in una notte di pioggia, uscendo a più riprese) o, alla maniera del detective Pepe Carvalho, nel camino acceso, oppure si può imitare Julio Cortázar, che di solito li regalava alle biblioteche pubbliche, ma che una volta, nel corso di un viaggio in treno, ne lesse uno così brutto, un vero invito a rivalutare l’analfabetismo, che strappò tutte le pagine man mano che finiva di leggerle, per poi buttarle dal finestrino. Scelta non facile, quella dei libri da sacrificare: l’unico criterio, soggettivo quanto si vuole, ci sembra quello indicato da Héctor Yánover in ‘Memorie di un libraio’: “Ci sono libri da leggere e ‘libri in quanto libri’. La questione è tutta qui”.

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