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Una frase, un rigo appena: l'aforisma come voto di vastità

A Bellinzona conferenza su un genere modernissimo dalle radici antiche

Ieri a Bellinzona
(laRegione)
5 ottobre 2023
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L’aforisma si nutre di paradossi: è breve ma arriva dopo una lunga riflessione, è un congegno ad altissima densità che in poche parole (otto, secondo la provocatoria formula di Gesualdo Bufalino) racchiude una visione del mondo, è una scorciatoia che allarga ed estende le possibilità del pensiero, condensando nel minor numero di parole il massimo dell’espressività. Eppure, ha ricordato Gino Ruozzi in un interessante incontro organizzato dalla Biblioteca cantonale di Bellinzona, l’aforisma nasce lineare, dall’esigenza di Ippocrate di sintetizzare la scienza medica in massime utili per curare l’uomo. Un’estensione metaforica che trova compimento nei ‘Ricordi’ di Guicciardini incontra l’ambizione di fornire una medicina politica, una cura della società.

Specchio dell’uomo frammentato

Dai ‘Pensieri’ di Pascal ai ‘Detti e contraddetti’ di Karl Kraus, dal disincanto di Ennio Flaiano alla perfidia di Leo Longanesi (“sono un carciofino sott’odio”), il genere è vivo e vegeto per una caratteristica che lo rende assolutamente moderno, ossia la frammentarietà, che descrive l’uomo disunito, smarrito, inconcluso, alla perenne e insoddisfatta ricerca di un centro di gravità permanente, come se la compiutezza lo rappresentasse e descrivesse meno dell’incompiutezza. E poi, osservava già agli albori del Trecento frate Bartolomeo di San Concordio, che volgarizzò i classici latini estraendone sentenze filosofiche a mo’ di ammaestramenti, “i tempi di oggi di brevità son vaghi”. Introdotti dal direttore delle Biblioteche cantonali Stefano Vassere, tre autori di aforismi hanno ragionato sulle peculiarità e la fortuna di questo genere, proponendo saggi delle loro capacità.

L’universo in una frase

Alberto Casiraghy, editore di Pulcinoelefante, viaggiando in direzione ostinata e contraria compone ancora a mano, usando caratteri mobili in piombo, al punto che Sebastiano Vassalli assimilava il suo lavoro a quello del panettiere, perché è l’unico a pubblicare in giornata: i suoi aforismi tendono alla poesia, all’immagine allusiva e alla freschezza, sono strumenti di autoanalisi, schegge la cui somma compone il suo ritratto (“l’intimità della mente cerca sempre il corpo”, “chi è sereno conosce bene gli scheletri”, “ci sono segreti che fanno volare”).

L’avvocato bellinzonese Mario Postizzi, singolare figura di erudito “brevilineo” (autodefinizione per gioco di parole) che, per ragioni lavorative, crede nelle parole ma non nella verità, riflette con amara ironia su una fauna inestinguibile (“il pedante fa la ceretta al pelo dell’uovo”) e su dubbi che non chiariremo mai (“forse finiremo per essere l’ombra di un ricordo che ci attende”). E infine la milanese Lidia Sella, non sempre efficace nelle sue considerazioni sulla fragilità degli esseri umani, sulle difficoltà della convivenza civile, sul rapporto tra scienza e morale (“ossimoro: intelligence americana” è sembrato meno riuscito di “ormoni in calo: saggezza in aumento” o di “rughe sul volto: strano modo di prendere appunti”). Ne viene fuori l’idea di un genere duttile, di una particella che, come in un incubo di Borges, racchiude in sé l’universo, del frutto di un voto di vastità.

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