Estate giallo-nera

Il ‘Posto tranquillo’ dove nulla è quel che sembra

Il mistero della morte di una esile, velata Bovary orientale nel romanzo di Matsumoto Seichō, il Simenon giapponese

Matsumoto Seichō nel 1955
(Wikipedia)

Asai è solerte e attendista, paziente. Un uomo comune in cui ti aspetti di scoprire prima o poi, trattandosi del protagonista di una storia, uno scarto o un innalzamento, un evento che lo riscatti, fosse per qualche istante, dalla condizione di uomo comune. Nel frattempo ti accorgi che questa volta definire uno scrittore tramite un altro scrittore non è una maldestra scorciatoia. Matsumoto è “il Simenon giapponese” per più di una ragione, dalle più esterne alle più interne ed essenziali. La straordinaria prolificità, nell’ordine delle centinaia tra romanzi e racconti; la grande naturalezza nel ricreare gli ambienti; la capacità d’analisi, o il forte intuito, nello scoprire il “retro” di ogni atto umano, il torbido semi-visibile o invisibile; l’istinto nel muoversi nel grigio e sui grigi. Nel grigiore della società che da fatto morale diventa come in Simenon, nel variare tutte le gamme di quel tono, dono estetico.

La verità su Eiko

Asai è affidabile o irreprensibile sul lavoro – funzionario del Ministero dell’Agricoltura –, mite fino alla scoloritezza nella vita privata, finché accade qualcosa che lo spinge a muoversi anche in quella, che ormai quasi non c’è più. Morta la moglie, la sua vita privata è lui stesso. D’ora in avanti, le sue giornate si divideranno tra il lavoro e l’indagare su come è davvero morta la moglie, che ha chiesto soccorso in un negozio di profumi ed è colpita da un infarto poco dopo. Così sembra, ma da una minuzia che non torna Asai comincia a interrogarsi e interrogare. E la figura della moglie Eiko, la vera e segreta protagonista della storia, merita una parola a parte. Vista sempre solo indirettamente, nei pensieri del marito o nei dialoghi che discorrono di lei, ne esce una esile, velata Bovary orientale. Non appare mai viva ma la sua presenza è la più intensa.

Asai deve provare dalla prima pagina quel che prova ognuno di noi davanti a una grande perdita: cambia tutto ma solo per te. Il mondo con quel che contiene continua a girare come se niente fosse accaduto. Asai apprende dell’incidente al telefono: “Alle sue spalle passò una cameriera, ma la porta di vetro della cabina era chiusa e lei non si voltò nemmeno”.

Lo spazio interiore

Come si metta in moto il meccanismo del giallo, come prosegua e si concluda, è probabile che lo sappia molto confusamente lo stesso scrittore. Soprattutto come si concluda: lo sa e non lo sa fino alla penultima pagina (Non occorre sottolineare che ci riferiamo ai grandi, gli altri sanno tutto per filo e per segno). Eppure ancora più insondabile è il resto: l’atmosfera, il tono. Nei gialli o nei noir di Matsumoto i luoghi hanno sempre qualcosa dello spazio interiore. Molto accade dentro il protagonista, dentro i personaggi, ma i luoghi fisici è come fossero contagiati da quell’astrattezza e rarefazione, irrealtà di uno spazio mentale o morale, malgrado le molte presenze e i molti fatti che, anche loro, paiono più rarefatti di quanto siano.

Asai non è il primo personaggio, specialmente tra quelli di Matsumoto, che comincia a tessere una rete in cui rischia di restare preso lui stesso. Lui meno ancora dello scrittore sa come andrà a finire. Se ne accorgerà all’improvviso, come l’autore. E anche in ‘Un posto tranquillo’ quasi nulla è quel che sembra. Una profumeria che sembra ci stia per qualcos’altro. Gli alberghi nascosti dagli alberi di quella via residenziale, più diurni che notturni. La vita benestante e mediocre del signor Kubo ne nasconde una più mediocre. Come quella di altri personaggi del romanzo e dello stesso Asai. Solo i capi sono quello che sembrano. Prevedibili carrieristi, alfieri della storia che seguono i pezzi della scacchiera più decisivi ma che non possono fare a meno di loro, degli alfieri. Un paio di questi, più altri due, daranno del tutto inavvertitamente la mossa decisiva, indotti con un atto ugualmente involontario da Asai. Perché fa tutto lui: mette in moto il congegno che manovra abilmente, all’inizio, fino a scoprire ciò che davvero è accaduto alla moglie, ma non si ferma, va avanti e adesso il colpevole è lui. Il meccanismo non può più fermarsi, si avvia la ricerca del secondo colpevole.

Ti accorgi che l’essere umano è lo stesso ovunque leggendo i romanzi, guardando un film. Di là da qualche esteriorità nel vestire o nelle abitudini, nei modi di fare, non esclusa qualche sorprendente e irrilevante stranezza, dopo i primi minuti dimentichi di star vedendo un film siriano o danese, un romanzo giapponese o ceco. Quel che conta non muta: l’amore e il disamore, la morte, la malattia e la colpa, la paura e il dolore, l’affetto, l’amicizia. Le angosce grandi o minime della vita quotidiana, l’indifferenza morale e l’opportunismo, la mancanza di aspirazioni travestita da ambizione.

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