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‘Viandanti’, quattro passi con gli scrittori

Borges, Rousseau e molti altri. Nel saggio di Edgardo Scott, una parata di vagabondi che, in compagnia dei propri pensieri, presero le misure al mondo

Ragionata suddivisione in capitoli tra diverse specie di camminatori
17 agosto 2023
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Stregato da Estela Canto, la giovane scrittrice a cui dedicherà L’Aleph, il quarantacinquenne Jorge Luis Borges azzarda goffi approcci in lunghe camminate notturne per Buenos Aires. Lei gli cita Bernard Shaw, lui le recita in italiano i versi in cui Beatrice prega Virgilio di scortare Dante nel suo viaggio agli inferi. Un rapporto platonico e asimmetrico, ma a Borges, terrorizzato dalla sessualità, va bene così, ritenendo la passeggiata e la conversazione non tanto un preliminare dell’atto erotico, quanto l’atto erotico per eccellenza.

Borges è un’eccezione, nel saggio ‘Viandanti’ dell’argentino Edgardo Scott (tradotto da Alessandro Gianetti per le edizioni Italo Svevo), parata di vagabondi per lo più solitari, scrittori che camminando, senz’altra compagnia che i propri pensieri, prendono le misure al mondo e a sé stessi. Un libro che offre una ragionata suddivisione in capitoli tra diverse specie di camminatori, ma è una tassonomia di cui si può fare serenamente a meno, per non privarsi del piacere di un’esplorazione casuale e capricciosa tra i paragrafi: più stimolante affidarsi al caso, come quando si ferma il mappamondo con un dito, con l’attitudine del flâneur che “si abbandona, come un agente, un medium, una marionetta, allo spirito della città che lo trascina per le sue strade”, e con le aspettative dell’Ismaele di Melville, che prende il largo per cacciare la malinconia e regolare la circolazione. Preferibilmente da solo, dunque, senza le mire sentimentali di Borges, ma per fare un giro: espressione che implica il ritorno al punto di partenza, non si sa se con un’esperienza in più o uguali a prima, con la coscienza ingarbugliata o risolta.

Le passeggiate di Rousseau, ad esempio, iniziano con un risentimento e un esilio (“Tutte le dolcezze della società mi sono state strappate dal cuore”): ruminando dolori, paure e incertezze, il ginevrino può assaporare la dolcezza di conversare con la propria anima. Ed è una condizione essenziale, la solitudine, per trovare, allontanandosi dagli inevitabili modelli originari, la propria voce: “Ogni scrittore”, annota Scott, “imita e fallisce, imita e diserta, finché non riprende il cammino in solitario. Prima, tuttavia, cammina dietro a qualcuno che parla e dirige, che spiega e guida, e poi, senza preavviso, lo lascia parlare da solo”. E ancora, a proposito di ‘Reader’s Block’ di David Markson: “Nessun luogo è migliore di un altro – più interessante, più attraente – per il vero passeggiatore. La passeggiata è un luogo a sé stante. Come lo stile. Markson cita Nietzche: alla fine, si sperimenta solo il proprio essere”. Solitudine necessaria anche al lettore. Non, beninteso, al lettore che si lascia orientare dalle mode, dai premi letterari e dalle classifiche di vendita, ed è come se seguisse le regole di una convenzione, la direzione e gli umori del gregge, alla ricerca di sicurezze, garanzie e identificazioni: “Coloro che spendono i loro soldi per tenersi aggiornati, per leggere quello che si deve leggere, per farsi fotografare con le loro voluminose e variopinte biblioteche alle spalle, perdono l’opportunità di camminare – di mettere il piede – dove nessuno ha mai camminato. I vagabondi – i lettori – sono coloro che trovano almeno una volta il cielo più stellato tra i cieli stellati, il quadrifoglio tra i trifogli, gli abitanti di questo o di un altro pianeta che fanno capolino da sottoterra”.

Per Pascal Quignard è fondamentale la distinzione tra il lettore disposto alla scoperta, che potrebbe anche non verificarsi, e il lettore che in realtà non legge o legge accecato. Scoperta che potremmo intendere come il vero scopo di una passeggiata. Non si tratta, allora, solo di fare un giro, osserva Elvira Orphée: “Non cammino mai per il gusto di camminare. È come decidere di perdere tempo. Bisogna camminare per qualcosa, con un’intenzione che va oltre la semplice passeggiata: camminare per amore attraverso giungle vegetali, camminare alla ricerca di giardini che facciano scoprire misteri in sé stessi e negli altri, camminare in modo che i paesaggi trafiggano l’anima e lascino piccoli fori attraverso i quali possano entrare tante cose che normalmente non possono entrare perché le anime sono troppo chiuse. Ma perché dovrei camminare solo per il gusto di farlo?”. E non si tratta, in fin dei conti, neanche di abbandonarsi, ma di mantenersi scettici, privi di pregiudizi, persino un po’ ironici, per non perdersi quanto di interessante si potrebbe scoprire, fuori e dentro di sé. Lo ha scritto, meglio di tutti, Roberto Arlt: “Quanti drammi nascosti nelle nostre case piatte! Quante storie crudeli nei volti di certe donne che passano! Quanta cattiveria in altri volti! Perché ci sono volti che sono come la mappa dell’inferno. Occhi che sembrano pozzi. Sguardi che fanno pensare alle bibliche piogge di fuoco. Stupidi che sono un’ode all’imbecillità. Furfanti che meriterebbero una statua per le loro malefatte. Scippatori che meditano le loro bricconerie dietro il vetro torbido, sempre torbido, di un bar(…). Il profeta, di fronte a questo spettacolo, s’indigna. Il sociologo costruisce teorie indigeste Lo sciocco non si accorge di nulla e il vagabondo se la spassa”.

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