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Liberty controluce

Fu con Debussy che l'impressionismo venne applicato alla musica, inaugurandone l'uso e l'abuso. Questione di etichette, abitudine mai scomparsa

Claude Debussy nel 1908, fotografato da Félix Nadar
(Wikipedia)
8 luglio 2023
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Il brano Printemps è la rielaborazione di Debussy attuata nel 1912 di una delle sue prime composizioni scritte nella capitale italiana nel 1887 all’epoca del suo soggiorno in qualità di Prix de Rome. Inviandola lo stesso anno e come di dovere ai membri dell’Institut allo scopo di ottenere un giudizio sui suoi progressi, Printemps fu accolta con riserva e criticata per quell’«impressionnisme vague qui est un des plus dangereux ennemis de la vérité dans les œuvres d’art». Ufficialmente parlando, fu quella la prima volta che il termine di impressionismo venne applicato alla musica inaugurandone l’uso e l’abuso al punto che fortunatamente si è tornati a diffidare del suo impiego.

L’abitudine alle etichette non è però scomparsa, per cui Debussy è tornato a essere al centro di un nuovo inquadramento critico che, a partire dal carattere sinuoso e decorativo di quella musica, ha tentato di omologare pure per l’arte dei suoni il riferimento all’Art Nouveau, al Liberty o allo Jugendstil che dir si voglia. Sarà quindi opportuno affrontare subito la questione dichiarando la nostra avversione al tentativo di introdurla come categoria stilistica, definita attraverso pretesi contrassegni inconfondibili e col risultato di farne un sostitutivo altrettanto rigido e limitativo delle categorie statiche che hanno finito con il creare fraintendimenti nella messa a fuoco delle vicende artistiche di quella stagione. D’altra parte tale operazione di rivendicazione nasce già presentando come lato debole il fatto di importare concetti plausibili e collaudati nel campo delle arti figurative in ambito musicale, con la pretesa che esso agisca sulla base di identiche premesse e ignorando il grado di autonomia di un linguaggio, per il quale è lecito parlare di stile solo in rapporto alla sua natura e non a una sovrastruttura impostagli da esteriori opportunità. L’unica ragione che ci rende disponibili a prendere in considerazione il tentativo di verificare l’applicabilità del concetto di Jugendstil alla musica è l’evidenza, nella particolare congiuntura artistica di fine secolo, di un grado di osmosi che, come risultato dell’utopia vieppiù diffusa della fusione delle arti, diede luogo a una fitta rete di relazioni tra discipline fino a quel momento ignare l’una dell’altra.

Oltre le convenzioni

Alla ricerca del carattere decorativo di una pretesa musica Liberty si cade nel tranello di ridurre la musica alla semplice dimensione melodica, oppure a quella timbrica esteriore. L’equivalenza linea-melodia (o colore-timbro) è un semplice dato di convenzione che non giustifica il rimando sistematico del parametro musicale al parametro pittorico. Trattandosi invece di lingue diverse con grammatiche diverse e non congruenti, le ipotesi di rapporti reciproci non riguardano quindi le componenti di un linguaggio nel loro meccanismo di articolazione, bensì devono accontentarsi di rivelare la loro fondatezza a livello dei significati sedimentati nella pratica e nella coscienza d’ascolto. Annettere la «melodia infinita» di Wagner all’idea della floreale linea Liberty è possibile solo estrapolandola dal contesto di una struttura dove invece affonda le proprie radici come parametro integrato a un valore simbologico per mezzo della sua posizione come dato concettuale nello sviluppo sull’arco temporale, non certo in virtù di una sua semplice lettura in termini figurali. Ciò che invece è importante far risaltare, nel percorso da più parti tracciato alla ricerca di un marchio musicale dello Jugendstil, è il clima spirituale comune a esperienze le quali, pur conservando la loro autonomia, non rimasero esenti da influssi reciproci e interazioni in un momento di civiltà in cui l’arte, coltivata come mezzo d’elevazione dello spirito, tendeva a essere considerata quale realtà unica verso cui confluivano le sue specificazioni. Non solo alla fine del secolo la figura del musicista acquisiva definitivamente completa statura intellettuale, ma soprattutto attraverso il teatro operistico la società veniva a sancire abbinamenti impensabili qualche decennio prima (Maeterlink [D’Annunzio]-Debussy, Hofmannsthal-Richard Strauss) nella venerazione di un vivente consorzio di muse. In tale circostanza il grado estremo di acculturazione non poteva non condizionare il singolo artista: se le personalità più ambiziose (sull’esempio di Wagner) sarebbero arrivate ad accentrare su di loro compiti immani come responsabilità culturale, altre non sarebbero perlomeno sfuggite al rispecchiamento nella loro opera di gusti e di mode letterari, pittorici, filosofici, religiosi ecc.

Senza eccezioni

Nessun compositore dell’epoca da questo punto di vista fa eccezione. L’inclinazione mitologica verso un mondo di sensualità idealizzata si fa strada sul disegno increspato dell’onda della musica composta da Gabriel Fauré per «La Naissance de Vénus» su poesia di Paul Collin, che fissa il modello di un neopaganesimo attecchito facilmente in una Francia troppo disincantata per prendere sul serio i risvolti religiosi alquanto impegnativi del misticismo nordico rinascente nel culto dell’idea di bellezza. Riecheggiato ancora da Richard Strauss nel terzetto delle ninfe di Ariadne auf Naxos, in un gioco di colorature esasperate nell’iperbolica fioritura di arabeschi al limite dello stremo vocale, ciò non impedisce ad alcuni di annoverare l’imprevedibile compositore bavarese fra gli esponenti dello Jugendstil musicale, soprattutto per il superbo saggio di danza libera (vorticosa esaltazione della bellezza nel movimento) tentato nella Salomè («Danza dei sette veli»), da accostare ai segni del gusto Liberty nella pucciniana Madama Butterfly, estetizzante nell’abbandono a esotiche divagazioni e sfiorato negli unisoni esaltanti la linea melodica. La féminité e il fiore come simbolo della donna angelicata, cioè la risposta dei Preraffaelliti alla patologia erotica in cui il realismo aveva degradato l’immagine muliebre, è presente nella debussiana Demoiselle Elue, nella quale la sospesa e celestiale sonorità del coro femminile plasma il modello di una vocalità sublimata. Considerando inoltre in che misura il decorativismo Jugendstil abbia lasciato una traccia su Schönberg (Herzgewächse ecc.) e sui compositori coevi dell’area viennese, avremo completato nelle linee essenziali l’estesa mappa delle influenze sulla musica dell’Art Nouveau, che da una parte costituisce probabilmente il fenomeno culturale di più vasta incidenza che abbia attraversato il mondo musicale del tempo, e dall’altra, per aver lambito i margini delle esperienze più disparate, anziché operare in termini unificatori di un gusto e di una cultura, serve a metterne in risalto ancor più il grado di discontinuità. L’Art Nouveau, emergendo come ipotesi musicale solo in fase di seconda lettura quasi controluce è in realtà anche la cartina di tornasole di una situazione rivelante la fragilità del rapporto idea-scrittura (stile) in un contesto che all’espressione consentiva in fondo come non mai, e con notevole margine d’arbitrio, di muoversi in molteplici direzioni.

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