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‘Complotto contro l'America’: cosa sarebbe successo se...

... nel 1940 Roosevelt non fosse stato eletto per la terza volta Presidente degli Stati Uniti d'America? Chiedilo a Philip Roth

Philip Roth
(Keystone)

Se ‘Il secondo libro della fantascienza’ è così bello, cosa dev’essere il primo? Il primo si chiamava ‘Le meraviglie del possibile’ (1959), titolo perfetto ideato da Carlo Fruttero e da Sergio Solmi, curatori dell’antologia. Il secondo libro è di due anni dopo e a Solmi subentrerà Lucentini. La fantascienza immagina mondi futuri, con un più o un meno di partecipazione umana, sgomento, speranza e di qualità letteraria. La distopia si propone qualcosa di simile ma c’è una sua variante che rivisita il passato e che per distinguere chiamiamo ucronia. Anche se sappiamo che non è andata così, anche se la storia per una volta non ha scelto l’alternativa peggiore, la tensione resta e restano i brividi.

Con ‘Il complotto contro l’America’ (The Plot Against America, 2004), Philip Roth non intendeva mandare moniti del tipo: se continuerà così, vedrete come finiremo. Un giorno aveva appuntato, semplicemente, una nota in margine all’autobiografia di Arthur Schlesinger, dove si diceva che Charles Lindbergh aveva acquistato tale popolarità, negli anni Trenta, che una parte dei repubblicani l’avrebbe candidato alla presidenza. “Se l’avessero fatto davvero?”, annota Roth in fondo alla pagina. E comincia a immaginare. Siamo a fine 2000, il romanzo uscirà nel 2004.

Ne risulta un’autobiografia travestita come in tanti suoi libri. Prende a osservare (amorevolmente) la propria famiglia, i parenti, gli amici muoversi in un Paese governato da un filo-nazista e antisemita dichiarato, che nelle elezioni del 1940 ha sconfitto Roosevelt. Tutto vero, si può dire, salvo l’elezione di Lindbergh, ma quasi vera anche quella o realissimo e credibile il personaggio. Ogni cosa vera della verità della finzione, per questo può far paura o sorridere, confortare, commuovere. L’ucronia è la distopia all’indietro. Infilare nell’ingranaggio della storia un fatto non accaduto. E tutto prende una via diversa ma quasi ciecamente come avviene nella storia. La Storia che può permettersi di iniziare con la maiuscola, quando le pare, per la nostra umanissima, e a volte quasi incolpevole, inettitudine.

Radiografie

‘Il complotto contro l’America’ però è molti libri, come accade con gli scrittori in grado, per dirne solo una, a 28 anni, di fare una radiografia della narrativa americana – ‘Writing American Fiction’, uscito su ‘Commentary’ – sistemando uno per uno anche i grandi, sospetti di individualismo eccessivo, una specie di personale letteraria contentezza, inspiegabile nel mondo incivile e allarmante in cui si viveva (tra gli altri sistema Mailer, Bellow e Paley, che ammirava naturalmente). Il romanzo è anche tante storie d’amore quanti sono i familiari. Tre ritratti innamorati più un altro scettico e indulgente, quello di sé stesso bambino di sette anni. E ovviamente: la satira su un uomo al quale due circostanze quasi indipendenti da lui, “esterna” anche la prima in fondo – la trasvolata dell’Atlantico del ’27, il rapimento e l’omicidio del figlio di due anni – avevano scolpito il simulacro per sempre. Se ha governato l’Atlantico, governerà l’America, pensò più di mezza America. Ma Lindbergh si dimostrò distante dall’eroe che si ritrovò a essere, e Roth non applica che minimi spostamenti per mettere sotto la luce più propizia circostanze evidenti: una medaglia accettata da Hitler, tra l’altro, o l’assoluta decisione di non intervenire nella guerra europea, che diventa il beneplacito all’avanzata della Germania.

Ruvido amore familiare

Un grande scrittore dice una cosa per dirne un’altra o molte altre. Mescola oscurità e luci, getta nel mucchio cose a caso come fa la Storia, poi le cuce ad altre che intravede e intuisce, rilucenti e nascoste ai più. I quali, zeppi di realtà fino a non poter respirare, pieni di ciò che salta agli occhi o che ti urlano nelle orecchie, vedono solo nero e non possono che confusamente o pericolosamente disperarsi. Per questo le scene di ruvido amore familiare danno al romanzo l’aria che gli toglie l’ottuso eroe (dell’aria). Per esempio qui, quasi invisibilmente: il fratello maggiore di Philip, Sandy, è un bravissimo disegnatore e un giorno disegna Lindbergh. Siamo ancora lontani dall’elezione. Philip da parte sua colleziona francobolli, uno dei quali ritrae Lindbergh. Eletto presidente e quando tutti gli ebrei sapevano quale presidente già fosse, Sandy non vuole separarsi dal suo disegno e Philip dal francobollo. Insieme tremolano al pensiero che il disegno, nascosto sotto il letto, venga scoperto. “Misurare il valore di quest’uomo – scrive Roth – come lo aveva reso Sandy, non era difficile. Un eroe virile. Un coraggioso avventuriero. Una persona spontanea di grandissima forza e rettitudine unite a una straordinaria banalità. Tutt’altro che un ‘cattivo’ che facesse paura o una minaccia per l’umanità”.

L’umanità in quanto genere umano è minacciata da cattivi con la faccia da buoni o con la faccia da cattivi. Da tale minaccia ci difende l’umanità in quanto solidarietà, benevolenza, per fortuna, che si legge anche nelle più preoccupanti distopie o ucronie, se le scrive uno scrittore autentico.

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