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Pellico, cent’anni e oltre

Ripercorriamo la storia di Vittorio Mastrorilli, che a un certo punto si innesta con quella (centenaria) della sala cinematografica di Saronno

Una storia lunga un secolo
18 marzo 2023
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Entrare al cinema, cogliere il suo passato e presente è riprendere un viaggio avventuroso perché in quella oscurità provvidenziale il viaggio non ha fine. Vittorio Mastrorilli gestore del cinema di antica origine parrocchiale, il ‘Pellico’ di Saronno, nell’ora e più trascorsa nel suo studio mi porterà da Treviglio fino a Milano Corso Sempione, sede storica della Rai, poi il salto nel Friuli, terra antica, forte, attraversata dai poeti. È la Casarsa di Pasolini, la Vildivar di Amedeo Giacomini, la Sedegliano di Padre David Maria Turoldo, il viandante metafisico. “Io vorrei donare una cosa al / Signore ma non so che cosa /Andrò in giro per le strade / zufolando, così / fino che gli altri dicano: è pazzo!”.

Dai Salesiani in poi

Il mondo cinema. Partiamo da qui? «La mia storia si innesta certo al ‘Pellico’, ma in verità parte nell’adolescenza. Frequentavo la scuola dei Salesiani a Treviglio dove abitava la mia famiglia. C’era un oratorio molto grande con una sala cinema teatro veramente bella, proiezioni, cineforum, anno ’68. In seconda media il professore di disegno, esperto di cinema, un giorno mi chiede se fossi interessato a diventare operatore di proiezione». E lei? «Non ci avevo mai pensato. La persona che faceva questo mestiere avrebbe lasciato da lì a poco e dato che la domenica ero già in oratorio ho iniziato ad affiancarlo. Così, nasce una passione. I film arrivavano con pizze, bobine non sempre in ordine e quindi bisognava stare attenti. Giuntare correttamente». È il fascino di chi stava in quella famosa stanza buia. «Sì. In fondo ti sentivi protagonista. Pian piano ho preso la mano dal punto di vista tecnico e in seguito mi sono interessato sempre più ai contenuti leggendo saggi sul cinema, appassionandomi a Federico Fellini. Sul suo lavoro ho scritto la tesina della maturità al liceo classico». Sono occasioni. «L’incontro dai Salesiani aveva funzionato. Capitava che la sera al cineforum degli adulti qualche volta mancasse l’operatore e il sacerdote impegnato nella presentazione del film mi ha chiesto di aiutarlo. Ha sentito i miei genitori che non erano contenti dell’idea giurando che durante la proiezione avrei studiato, cosa che con il rumore del proiettore risultava un po’ difficile…». Da quella realtà Vittorio Mastrorilli arriva a Milano. «Nel 1980 ho avuto la fortuna di entrare al Centro di Produzione della Rai in Corso Sempione dove si facevano film, documentari. Un’esperienza indimenticabile». Cosa ricorda in particolare? «Ricordo tutto. La struttura della Rai era una piccola Cinecittà, un sistema produttivo di altissimo livello. I registi venivano da Roma per realizzare qualcosa di particolare trovando professionalità, gente esperta, parlo della fotografia, di scenografie realizzate con diversi materiali, non in modo virtuale come si fa oggi. Le cose più belle erano gli sceneggiati in costume e non, film impegnativi a puntate». Lavori a cui è affezionato? «I ‘Promessi Sposi’, del 1989, con la regia di Salvatore Nocita e un altro a cui ho partecipato proprio all’inizio, girato interamente in Friuli in lingua dilettale; ‘Maria Zef’, tratto dall’omonimo romanzo di Paola Drigo, con la regia di un maestro del cinema, Vittorio Cottafavi. Una scuola incredibile, un lavoro un po’ figlio de ‘L’albero degli zoccoli’ di Olmi, altrettanto drammatico». Il rapporto con Cottafavi? «Una persona estremamente gentile, affabile, professionale, con lui una sintonia unica». Ne ha colto lo stile. «Percepivi la sua sintonia con il mondo. Racconto solo un episodio; dovevamo girare, l’ambientazione una baita degli anni 30, due ragazze e lo zio. Una non stava bene. Cosa facciamo? Cottafavi era molto preoccupato, seduto in un angolo, allora, visto che c’erano diverse scene da fare, ho pensato che potevamo non perdere la giornata. Vado dall’aiuto regista, un collega della Rai e gli dico perché non facciamo altre cose. Perché non le ha ancora pensate, risponde. Nel cinema nulla è fatto a caso, lui le scene le pensava. Un grande insegnamento».

Sei gradi

Da Milano arriviamo qui, al ‘Pellico’, a due passi dal centro storico. Dopo questa esperienza Mastrorilli si occupa di altro ma il cinema lo ha dentro e ci ritornerà. «Un collega che sapeva della mia passione mi dice che a Saronno la parrocchia aveva dei problemi con la gestione della sala, siamo nel 2009. Mi metto in contatto con il parroco, ci incontriamo e nasce un bel rapporto. Inizio un po’ alla volta e da lì la cosa prende piede. Diamo un volto rinnovato alla sala, lavori pesanti che culminano nel 2014, rimontiamo la situazione e l’anno successivo entro qui a tempo pieno». Alcuni dépliant dicono di un’attività ricca, articolata per generi e fasce d’età. Il Cineforum, il Cinema a merenda per bambini, la grande arte al cinema, la stagione operistica in diretta dalla Royal Opera House di Londra. Prima di entrare nella sala, quattrocento comodi posti, sulle pareti la mostra dei cento anni, 1912-2012, corredata da grandi fotografie d’epoca e da piante architettoniche; vediamo la Saronno delle Ferrovie Nord, delle prime industrie, l’Isotta Fraschini, la Lazzaroni. L’inaugurazione con mille persone, la banda. E da lì a poco una sottoscrizione cittadina per acquistare un proiettore e iniziare l’avventura cinema, il cinema muto. Nel dopoguerra l’ampliamento, dalla sola platea a un giro di palchi, poi la galleria, in tutto seicentosessanta posti poi ridotti per comodità e sicurezza. «La gestione è impegnativa, lo staff mi dà una mano insieme a consulenti che mi sostengono per la ricerca di finanziamenti, detto che siamo riconosciuti come cinema d’essai. La nostra è un’impresa che ha valenza sociale e questo penso sia oggi un dovere. Va ricordato che nel 1911 un gruppo di cattolici saronnesi decise che l’oratorio doveva avere una collocazione migliore, più sana per i ragazzi e in poco tempo ha realizzato una struttura all’altezza». Con non pochi sacrifici, penso. «Tanti. Abbiamo la responsabilità di tenere viva la memoria, una forma di riconoscenza per chi ci ha preceduto».

Vittorio Mastrorilli estende poi lo sguardo sul ‘Nuovo Prealpi’, sala che definisce di grande qualità; due poli, un’unica multisala orizzontale. La ‘Teoria dei sei gradi di separazione’ ci lega ad altre persone per una serie di combinazioni. Quali troviamo qui? Forse queste. Treviglio, Salesiani, Rai, Friuli, infine Cottafavi e Saronno. Il bravo Enrico Ghezzi ha voluto riproporre in ‘FuoriOrario’ il film di Cottafavi, così il cinema continua la sua avventura ben oltre il ‘The End’ che vediamo adesso sullo schermo.

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