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Fiordi e squarci di poesia di Jón Kalman Stefánsson

‘La tua assenza è tenebra’ (Iperborea), dall’autore de ‘I pesci non hanno gambe’ e ‘Grande come l’universo’ (Playlist della Morte inclusa)

È da un cimitero che inizia tutta la storia...
20 gennaio 2023
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Cinquecentonovantotto pagine. Seicentotré se si includono anche le ultime, dedicate alla Playlist della Morte: un elenco ricchissimo e dettagliato di canzoni che spaziano da Bob Dylan a Erik Satie, passando per Elvis Presley, John Coltrane, David Bowie e molti altri. Una colonna sonora che scandisce il tempo della lettura, dà ritmo e musica agli avvenimenti, li impregna di un senso profondo, quasi epifanico, facendo danzare i personaggi attorno a sé stessi come se le loro vicende fossero già state cantate o se ci fosse un ritornello perfetto per accompagnare degnamente ogni accadimento.

Non sono poche le cinquecentonovantotto pagine – o seicentotré – scritte dall’islandese Jón Kalman Stefánsson che, come nei precedenti e indimenticabili ‘I pesci non hanno gambe’ e ‘Grande come l’universo’, ci regala un’altra travolgente saga familiare lunga quasi due secoli e abitata da persone legate l’una all’altra dal destino, dal caso, dall’amore o dal tradimento. Sullo sfondo, l’Islanda di pastori e contadini abituati al freddo, dipendenti dall’alcol, immersi nella neve e nel buio per gran parte dell’anno, stregati dal fascino metafisico dei fiordi, dall’amore per una terra inospitale dove, a volte, la vita è così difficile che si vede anche dalla luna.

Dal cimitero

Il titolo del libro, ‘La tua assenza è tenebra’, edito nella versione italiana da Iperborea per la traduzione di Silvia Cosimini, riprende parte di un verso inciso da Haraldur – uno dei primi personaggi che incontriamo – sulla lapide della moglie, morta troppo presto in un incidente stradale. Perché è da un cimitero che inizia tutta la storia. È qui che troviamo un misterioso narratore senza più memoria, spaesato, alla disperata ricerca del proprio nome, di un indizio che possa rivelargli la sua identità. Come in un sogno, lo seguiamo mentre si imbatte in persone che sembrano conoscerlo bene, appartenute evidentemente alla sua vita passata. Ci sono due sorelle, Sóley, proprietaria di un albergo, e Rúna, fotografa e traduttrice rimasta intrappolata in Islanda per dovere, per le pecore e per senso di colpa; c’è Eirikúr, l’uomo che possiede una chitarra elettrica, tre cuccioli morti, una carabina per sparare ai camion oppure al destino.

C’è Asi, agricoltore forestale un tempo schiavo del sesso. E poi c’è il passato, che riaffiora attraverso le storie scritte quasi involontariamente dal nostro narratore senza memoria: pagine e pagine che si tessono velocemente sotto i suoi occhi, come se fossero il frutto di un patto col diavolo. O con dio. Racconti paralleli, generazioni che svelano piano piano i loro segreti, in un andirivieni cinematografico tra vivi, morti e sopravvissuti. Basta smuovere un po’ la terra, come fanno i lombrichi, per far respirare ancora le vite di Hafrún e di Skuli, di Halldór e di Palli, di Guðríður e di Pétur. Storie sempre a una scelta perché, parafrasando Kierkegaard, se non scegli una delle due strade ti ritroverai un’esistenza al quindici per cento.

Sono cinquecentonovantotto pagine – o seicentotré – che galoppano veloci tra i fiordi e i secoli aprendo continui squarci di poesia, che fanno entrare nel naso l’aria fredda del nord, che suggeriscono sguardi più profondi sull’umano e sull’esistere:

"Allora non tiene, la felicità, mal sopporta la vita e men che meno la morte? Allora una persona non è in grado di trasformare la felicità in una tartaruga, e nemmeno in un cane che ti segue alle calcagna, allora la felicità non sa stare al passo, non c’è modo di addestrarla, non sa cosa sia la lealtà; allora è finito tutto, non resta che la festa a casa di Elías e poi nient’altro – aveva sbagliato Kierkegaard a inscriverci dentro la luce, non ci restano che le tenebre davanti, allacciatevi le cinture perché adesso arriva il buio?".

Chissà, la storia non è ancora finita. E si può ancora cambiare, il finale. Anche in corso d’opera.

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