Culture

Il diavolo torna a Bellinzona

Zac Harmon
(Darren Carroll)
21 giugno 2017
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Per il terzo anno Bellinzona accoglie le Blues Sessions, da giovedì a sabato sera in piazza Governo. Insomma, il blues ha ritrovato casa nella capitale grazie all’impegno di Coopaso e di tanti volontari che non risparmiano sforzi per allestire un programma di peso (tra l’altro gratuito). Fra i nomi in programma, infatti, troviamo sabato Bobby Rush, da decenni uno dei punti di riferimento del blues mondiale, ma pure Rick Estrin, Johnny Rawls, Zac Harmon e, fra gli altri, i Make Plain e la South Switzerland Blues Connection, formazione che riunisce alcuni dei migliori bluesman di questa regione. In breve, tre serate per 13 concerti. Ma, come ci spiega il direttore, Claudio Egli, non si tratta solo di questo: «È un concetto che portiamo avanti fin dall’inizio, un discorso culturale con cui spaziare oltre la musica e far capire che il blues non è una cosa sola, ma ha tante sfumature ed è all’origine di molta musica moderna».

Insomma, il blues è vivo e sempre in movimento. Dove va oggi?

Anche oggi il blues si rifà agli stili che esistono da sempre, dati dalla geografia. Il blues è nato negli Stati del sud degli Usa, poi si è trasferito al nord, in particolare a Chicago, che negli anni 50 è stata la sua patria, trasformandolo da acustico in elettrico; oppure verso ovest, creando lo stile West Coast. Ogni territorio influenza a modo suo lo stile, a ovest ad esempio ci sono influenze che arrivano dal Tex-Mex e dalla musica latina, mentre nel Mississippi si è rimasti più legati alla tradizione acustica, a New Orleans al jazz, a New York si sono sviluppate sonorità urbane vicine al funk o al rhythm’n’blues. Oggi ci sono sì dei cambiamenti generazionali, ma anche i giovani restano legati alla tradizione, pur rinnovando il linguaggio. C’è poi da dire che il blues è musica ma è anche racconto, e adesso si parla di più di temi attuali. L’importante è far passare il messaggio che il blues non è triste, al contrario fa festa.

Ma tu quando vai negli Usa alla scoperta del blues, dove punti?

A parte New York, di solito sono arrivato a Memphis pensando di stare lì una settimana per poi spostarmi a nord. E ogni volta mi sono fermato nel Mississippi, dove il blues è nato e dove ancora oggi senti nell’aria quell’energia, non solo musicale, legata a un contesto sociale e di segregazione non ancora risolto.

Coopaso intanto è sempre senza un luogo di riferimento per i concerti durante l’anno. Dopo la collaborazione con un locale la stagione scorsa, siete tornati al punto di partenza?

Il rapporto con gli esercizi pubblici è sempre un po’ difficile. Noi lavoriamo spinti dalla passione, per fare come detto un discorso di tipo culturale, e spesso questo non si concilia con gli aspetti commerciali. Abbiamo quindi scelto un rapporto diverso con il territorio, organizzando concerti in luoghi non consueti legati al mondo del lavoro: la carrozzeria, la falegnameria, la cava, la cantina, la fattoria. E abbiamo avuto un buon riscontro, sia di pubblico che con gli sponsor. È un discorso che vorremmo portare avanti nella nuova Bellinzona, spostandoci un po’ come un circo. Certo, ritrovare una sede come il Paso sarebbe un sogno, non solo nostro. Proprio in questi giorni la nostra presidente ha presentato una mozione affinché anche la città di Bellinzona si doti di una casa della cultura, aperta ad associazioni attive in questa regione: sarebbe importante.

 

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