Culture

L'Orso d'Oro racconta Lampedusa

20 febbraio 2016
|

dall'inviato Ugo Brusaporco - 

Come era ampiamente previsto l'Italia trionfa a Berlino con Gianfranco Rosi e il suo "Fuocoammare", nato da una coproduzione italo-francese, il film si è aggiudicato l'Orso d'Oro nel silenzio tombale della sala stampa in cui è risuonato solitario il nostro applauso. Non che fossimo convinti che il film di Rosi fosse il migliore visto in questa 66esima Berlinale, ma di sicuro tanta era la paura che il premio finisse a qualche inutile film americano.

"Hele Sa Hiwagang Hapis" di Lav Diaz si è dovuto accontentare dell'inutile Silver Bear Alfred Bauer Prize, per un film che apre nuove prospettive, premio che non si può dare a un autore pluripremiato per il suo cinema salvo fare la figura degli ignoranti.

Gianfranco Rosi dopo Venezia nel 2013, Leone d'Oro per "Sacro GRA" conquista un alloro che lo pone tra i più grandi registi del mondo e lo fa con un film "Fuocoammare" mirabilmente costruito non per raccontare una storia, ma per vincere un premio toccando le corde più emotive di una Giuria. Era chiara la sua vittoria già dopo l'annuncio della sua premiazione al Premio Ecumenico, il film infatti si pone sulla scia sociale e politica che è nel DNA del Festival di Berlino, la situazione dei bambini, insieme al dramma dei migranti in una deserta Lampedusa erano elementi chiave per colpire Berlino. Se poi pensiamo al problema tedesco con la migrazione riusciamo ancor di più a capire l'importanza di questa vittoria in casa della Signora Merkel.

Per gli altri premi fanno bene al cinema marocchino i 50 mila euro destinati alla miglior opera prima assegnati a "Inhebbek Hedi" (Hedi) di Mohamed Ben Attia, film che si è visto, giustamente assegnare anche il premio per il miglior attore al bravo Majd Mastour. Come miglior attrice la Giuria ha scelto Trine Dyrholm, una delle più importanti attrici danesi, per il suo contributo a un film "Kollektivet" di Thomas Vinterberg che avrebbe meritato miglior fortuna.

Il premio per la miglior sceneggiatura a Tomasz Wasilewski per il suo "Zjednoczone stany miłości" sottolinea come questo film sulla carta notevole sia finito malamente diretto, lo stesso non si può dire per il premio per la miglior fotografia a Mark Lee Ping-Bing per "Chang Jiang Tu" (Crosscurrent) di Yang Chao, sicuramente uno dei due migliori film visti a Berlino insieme a quello di Lav Diaz.

Il premio per la miglior regia a Mia Hansen-Løve per il suo "L'avenir" era necessario per sottolineare l'importanza del ruolo femminile in un mondo del cinema sempre più maschilista. Infine il Gran Premio della Giuria a "Smrt u Sarajevu / Mort à Sarajevo" di Danis Tanovic dimostra come questa Giuria al linguaggio del cinema abbia preferito il contenuto sociale dei film, infatti qui al centro del discorso del regista ci sono il ricordo del massacro di Sarajevo e la crisi economica che colpisce tutto il nostro mondo.

E ora cosa resterà di questo Festival se non la coscienza che pochi film qui visti avranno un futuro nelle sale, soprattutto nelle sale italiane e ticinesi in cui grazie al premio tutti potranno riflettere su "Fuocoammare".

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔