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‘Penalizzati dalla riforma fisco, i Comuni facciano referendum’

Offensiva Mps: si appella agli enti locali, ricordando loro l'articolo 42 della Costituzione, e chiede l'abrogazione del freno ai disavanzi pubblici

Oggi si apre l’ultima sessione di Gran Consiglio del 2023. Si preannuncia ‘calda’
(Ti-Press)
11 dicembre 2023
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Fisco, stanno per aprirsi le danze. A una manciata di ore dall’avvio della sessione fiume del Gran Consiglio, l’ultima del 2023, in cui il piatto forte saranno gli sgravi contemplati dalla controversa revisione della Legge tributaria, il Movimento per il socialismo, attraverso i suoi due deputati, Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi, si appella ai Comuni. Affinché si oppongano “a una riforma fiscale che li penalizza”. Opporsi come? Facendo capo, se in questi giorni la riforma verrà approvata dal parlamento, all’articolo 42 della Costituzione cantonale, quello sul referendum facoltativo. La norma “prevede che possano indire un referendum settemila cittadini”. O “un quinto dei Comuni”, scrive ancora l’Mps, precisando che “i regolamenti comunali attribuiscono tale competenza ai Municipi o ai Consigli comunali”. Non sarebbe la prima volta: dieci anni fa gli enti locali, una settantina, contestarono, sottoponendolo al voto dei cittadini, il grado di occupazione (non inferiore all’ottanta per cento) dei presidenti delle Autorità regionali di protezione, ma le urne diedero torto ai referendisti. Tutt’altra storia, tutt’altro dossier.

Adesso in ballo sono i prospettati alleggerimenti fiscali per le persone fisiche e il relativo impatto sulle casse pubbliche. A preoccupare i Comuni è in particolare il taglio lineare dell’1,66 per cento dell’aliquota d’imposta sul reddito, proposto dalla maggioranza della commissione granconsiliare della Gestione per “neutralizzare” l’aggravio dovuto al ritorno, il prossimo anno, del coefficiente d’imposta cantonale al 100%, oggi al 97. Una preoccupazione manifestata dall’Act, l’Associazione dei Comuni ticinesi, e dai Municipi di Bellinzona, Mendrisio, Chiasso, Lugano e Locarno in una lettera inviata il 27 novembre alla commissione. La cui maggioranza – ovvero Plr, Lega e Udc – ha tuttavia tirato dritto, firmando il giorno dopo la ricezione della missiva il rapporto all’indirizzo del plenum del parlamento con lo sconto in questione.

Quella lettera alla commissione

È a quella lettera che i due deputati dell’Mps fanno riferimento per motivare l’appello. Della missiva citano le parti salienti. Secondo gli esecutivi dei principali Comuni e l’Act, il taglio lineare dell’1,66 per cento, se praticato, “avrebbe ripercussioni dirette e immediate sulle finanze dei Comuni ticinesi – indipendentemente dal loro substrato fiscale – e per importi tutt’altro che marginali. E questo mentre già sono stati presentati, nei termini di legge, i conti preventivi”. Insomma, meno entrate nelle casse comunali e di riflesso meno risorse per i servizi alla collettività. Da qui la richiesta di Act e Municipi al parlamento cantonale “di voler soprassedere a ulteriori interventi – o se del caso coinvolgerci prima di intraprendere eventuali iniziative – che si ripercuotono direttamente e immediatamente sulle finanze e sui bilanci degli enti locali e, di riflesso, sulle cittadine e i cittadini dei nostri Comuni”. Invito non raccolto, perlomeno dalla commissione della Gestione. Eloquente la dichiarazione rilasciata alla ‘Regione’ dal responsabile del Dicastero finanze di Bellinzona, il liberale radicale Fabio Käppeli: “Ora ci troviamo, a preventivi fatti, con 1,4-1,5 milioni in meno. Non è possibile lavorare in questo modo fra istituzioni e spero che il plenum del parlamento se ne renda conto”. Da segnalare che tra le firme dei commissari del Plr in Gestione al rapporto di maggioranza non figura quella di Nicola Pini, municipale di Locarno. Una maggioranza che non gode certo di grandi numeri. Molto dipenderà anche dal Centro, che ha rinunciato a stilare un proprio rapporto, riservandosi di proporre in aula degli emendamenti.

‘È necessario passare dalle parole ai fatti’

Stando però all’Mps, sembrerebbe scontato il via libera alla riforma fiscale, che contempla anche e fra l’altro la riduzione progressiva, dal 2025, dell’aliquota massima dal 15 al 12 per cento per i redditi assai elevati e l’aumento della deduzione per le spese professionali. “Verosimilmente visti i rapporti di forza parlamentari”, il Gran Consiglio “approverà la riforma fiscale che contiene anche le misure criticate da Act e Municipi dei maggiori Comuni”, sostiene il Movimento per il socialismo: “A questo punto a noi pare necessario, se Associazione comuni ticinesi e Municipi non vogliono prestare il fianco alle più che giustificate critiche per cui in Ticino spesso la politica si riduce a un triste gioco delle parti, che alle parole seguano i fatti”. Ergo: “Come noto l’articolo 42 della Costituzione cantonale prevede che possano indire un referendum settemila cittadini o ‘un quinto dei Comuni’”. L’Mps “rivolge” allora “un appello ai Municipi e/o ai Consigli comunali ticinesi perché richiedano il referendum sulla riforma fiscale”. E annuncia che “in occasione della prossima seduta del Consiglio Comunale di Bellinzona in programma per il 18 dicembre” presenterà “una risoluzione in tal senso”. Invita quindi “tutte le forze politiche che contestano la riforma fiscale a intervenire nella stessa direzione”. «Domani (oggi, ndr) inoltreremo il nostro appello nero su bianco agli enti locali e ai partiti – indica, da noi interpellato, Pronzini –. Un referendum comunale avrebbe un peso istituzionale e politico molto importante».

‘Non impediamo allo Stato di svolgere i suoi compiti’

L’offensiva politica dell’Mps non si ferma alla riforma tributaria. Si estende, restando comunque in tema di finanze statali, al freno ai disavanzi pubblici. Accolto nel 2014 in votazione popolare, lo strumento di disciplina finanziaria è ancorato alla Costituzione cantonale e alla Lgf, la Legge sulla gestione e sul controllo finanziario dello Stato. Il Movimento per il socialismo chiede non di sospenderlo, bensì di cancellarlo, abrogando le relative disposizioni costituzionali e della Lgf. Lo chiede con iniziative parlamentari distinte (intitolate “Non impediamo allo Stato di svolgere i suoi compiti”, “Spazziamo via il freno ai disavanzi!”, “Spazziamo via le trappole che limitano lo svolgimento dei compiti dello Stato!”), a seconda del testo normativo sul quale si propone di intervenire.

“Da anni – scrivono Sergi e Pronzini – l’idea di un freno alla spesa pubblica e al contenimento del debito pubblico sono posizioni dominanti all’interno della maggioranza delle forze politiche. E ciò anche quando alcune di queste ammettono, magari a denti stretti, che la situazione non è poi così terribile come la si vuole presentare. Questo orientamento ha avuto la sua più forte consacrazione in particolare nell’introduzione nella Costituzione cantonale dell’articolo 34ter relativo al cosiddetto freno ai disavanzi. Questo dettato costituzionale, approvato nel 2014, ha poi trovato il proprio prolungamento nella Legge sulla gestione e sul controllo finanziario dello Stato. Ricordiamo – continuano Pronzini e Sergi – che nessuna delle forze politiche di governo ha mai contestato il principio costituzionale del freno ai disavanzi. Le differenze si concentrarono soprattutto sui meccanismi legati al moltiplicatore cantonale. Tutti d’accordo sul principio, ma divisi sui meccanismi di applicazione”. E ancora: “Come era nella logica di questo tipo di meccanismo – non a caso frutto della stagione politica reaganiana – il moltiplicatore è stato usato (come era facile immaginare visti i rapporti di forza parlamentari) solo verso il basso: con un evidente vantaggio a favore dei contribuenti più ricchi (della serie: la storia non cambia)”. L’Mps non ha dubbi: “La situazione sociale e le prospettive economiche e politiche con le quali siamo confrontati e con le quali saremo confrontati nei prossimi anni necessiteranno di un sempre maggiore intervento dello Stato. È un dato di fatto che nessun discorso sull’analisi della spesa pubblica o sulla sua ottimizzazione potrà contraddire. Il miglioramento qualitativo della spesa pubblica e della sua gestione non implicherà una sua diminuzione. In questa prospettiva appare evidente che la necessità dello Stato di rispondere ai bisogni delle cittadine e dei cittadini, di ottemperare ai propri compiti fondamentali (in particolare sanità, formazione, ambiente, socialità) è oggettivamente in contraddizione con il principio del freno ai disavanzi che ha, come corollario concreto, il contenimento del debito pubblico”.

Commentando la (prima) manovra di rientro/tagli confezionata dal Consiglio di Stato per raggiungere, come stabilito dal decreto Morisoli, il pareggio dei conti cantonali entro fine 2025, Sergi aveva rilevato (vedi ‘laRegione’ del 19 ottobre): “Il governo giustifica questa manovra di risparmi sostenendo che lo impongono la Costituzione e la legge, le quali prevedono il meccanismo del freno al disavanzo, che noi consideriamo assurdo. Ma se il Consiglio di Stato ritiene che queste normative limitino il suo raggio d’azione e lo costringano a varare misure anti-sociali, chieda allora al parlamento di modificare quelle normative. Altrimenti manca di coraggio politico”. L’Mps ci prova.

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