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Tra premi che esplodono e l'idea della cassa malati unica

Costi per la salute che esplodono, ospedali di valli e la cassa malati unica. Ne parliamo con De Rosa (Centro), Carobbio (Ps) e Pronzini (Mps)

24 marzo 2023
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Direttore De Rosa, l’aumento dei premi di cassa malati resta un problema, anzi un incubo. I cittadini aspettano con timore il mese di settembre quando da Berna viene comunicato l’ammontare dei premi per l’anno seguente. Dal Ticino sono arrivate diverse proposte per contenerne la crescita, tutte o quasi tutte respinte dal parlamento federale. L’ultima in ordine di tempo è stata la ‘mozione Quadri’, che chiedeva di restituire agli assicurati parte delle riserve. Che fare quindi?

Raffaele De Rosa: Bisogna continuare a insistere su diversi livelli, come il contenimento dei costi e il sostegno al reddito dei cittadini. Come Cantone cerchiamo di sfruttare il margine di manovra che abbiamo, ad esempio attraverso la pianificazione ospedaliera appena presentata (vedi pagina 6) o la gestione del budget dei contratti di prestazione. Questo ci ha permesso di contenere la spesa sanitaria ospedaliera, salita solo dell’1,8%. Il problema è dove i margini per il Cantone sono limitati, ovvero la spesa per i medicamenti e i costi delle prestazioni ambulatoriali. La spesa legata alla LAMal, sulla quale non abbiano praticamente nessuna competenza, è infatti cresciuta molto più di quella ospedaliera ed è fuori controllo, segno che il Cantone fa quello che può all’interno dei suoi margini d’azione. E i risultati si vedono. Per il sostegno ai redditi invece siamo tra i Cantoni più virtuosi, con oltre 370 milioni di aiuti l’anno. Non poteva essere altrimenti visto il salario mediano più basso della Svizzera e un premio medio tra i più cari a livello nazionale.

Marina Carobbio: Un margine di miglioramento per il Cantone c’è, visto che la spesa ospedaliera rappresenta il 17% dei costi totali. Noto poi una certa discrepanza tra quello che viene enunciato come volontà di cambiare le cose e quello che poi viene realmente fatto dalla maggioranza parlamentare a Berna e in Ticino. Le misure per ridurre il prezzo dei medicamenti, sostenute e citate da De Rosa, sono poi state bocciate nel parlamento federale anche dagli esponenti del suo partito. Al Consiglio degli Stati i rappresentanti del Centro hanno messo infatti in discussione anche il controprogetto per limitare i premi al 10% del reddito. Non è giusto che un manager con uno stipendio molto alto paghi quanto un operaio. È vero che il Ticino destina già molto denaro per gli aiuti, ma l’aumento dei premi di cassa malati continua a pesare troppo sulle famiglie. Specialmente per chi è appena sopra la soglia dei sussidi. Bisogna allargare la fascia degli aiuti, non seguire la via degli sgravi come vuole la maggior parte del Gran Consiglio, che va a vantaggio solo dei più ricchi. Lo dico perché purtroppo siamo di fronte ad annunci di risparmi da parte del Cantone. Non vorrei che questi risparmi penalizzassero le cittadine e i cittadini più bisogni.

Matteo Pronzini: Attraverso i premi di cassa malati vengono raccolti annualmente 25 miliardi di franchi. La stessa cifra incassata dall’Avs per i suoi servizi. Se avessimo un sistema dove a passare alla cassa fossero anche i padroni in base a un premio percentuale, questo permetterebbe di avere premi molto più bassi. C’è poi un problema con le strutture sanitarie private, che grazie allo spostamento di attivi possono continuare a ricevere i contributi pubblici. L’abbiamo visto recentemente con il caso Unitas e il ruolo della Fondazione. È un’operazione che ammettono anche gli stessi dirigenti delle strutture private. Il problema è che questo sistema non permette all’ente pubblico di risparmiare. Si tratta semplicemente di esternalizzare i servizi, e a noi non va bene.

C’è davvero un problema con i mandati di prestazione?

De Rosa: Il contratto di prestazione non è uno strumento per risparmiare. Non è neppure uno strumento di perequazione. Ma permette di responsabilizzare gli enti e dare autonomia gestionale e operativa. Nel contratto di prestazione vengono fissati ad esempio qualità e dotazione del personale, ed è questo che viene finanziato. Se poi l’ente si gestisce in maniera efficiente e oculata, potrà realizzare degli utili.

Uno dei grandi problemi, anche a livello nazionale, è la spesa ambulatoriale, che lo scorso anno è aumentata considerevolmente. Più del doppio rispetto a quella delle cure ospedaliere stazionarie. Il passaggio dal tariffario Tarmed al Tardoc è una soluzione?

Carobbio: C’è da regolare tutto il settore ambulatoriale, e oggi non abbiamo gli strumenti per farlo. Se non entro determinati limiti. Bisogna sicuramente intervenire a livello di tariffe. Sappiamo che ci sono degli specialisti che hanno guadagni molto alti. Quello che oggi va rafforzato sono la medicina di base e le cure integrate. Sia con regole a livello federale che attraverso interventi a livello cantonale. Il punto Tarmed per l’Ente ospedaliero cantonale è inoltre molto più basso rispetto al valore per le strutture private ambulatoriali. È un tema importante da affrontare dai partner tariffali e dal Consiglio di Stato.

Pronzini: Chi dirige il Dipartimento probabilmente ha interesse a tenere buoni tutti gli ambienti che lo sostengono...

De Rosa: Non capisco questa insinuazione. Con l’Eoc siamo arrivati fino al Tribunale amministrativo federale: c’eravamo opposti alla richiesta dell’Ente ospedaliero di alzare il punto Tarmed, che avrebbe comportato un aumento delle spese. Il tribunale ci ha poi dato ragione.

Una soluzione potrebbe essere quella di una cassa malati unica pubblica? La popolazione in passato si è sempre detta contraria a questa proposta quando è stata portata alle urne...

De Rosa: Sono per rilanciare il tema. L’input dovrebbe però arrivare dal basso, da un’iniziativa popolare. Vedo invece difficile portare avanti una proposta del genere a livello cantonale. Ci troveremmo con la cassa pubblica che si assume tutti i rischi e quelle private che si limitano ai casi più vantaggiosi economicamente. Non sarebbe sostenibile.

Carobbio: Sono convinta che prima o poi arriveremo ad avere una cassa malati unica pubblica, con i premi proporzionali al reddito. Nelle votazioni passate lo scarto tra favorevoli e contrari si è sempre più ridotto e probabilmente si realizzerà come con l’Avs o l’assicurazione maternità, quando dopo diversi ‘no’ alle urne è arrivata l’approvazione. Deve però essere chiaro: il cambiamento non avverrebbe da un giorno all’altro ma ci vorrebbero diversi anni per arrivare a un vero rinnovamento del sistema.

Pronzini: In campagna elettorale fa comodo a tutti dirsi contro il sistema, bisogna però avere anche memoria politica e onestà intellettuale. Il modello attuale fu sostenuto anche dal Partito socialista con Ruth Dreifuss. Senza parlare delle condizioni di lavoro del personale dell’Ente ospedaliero cantonale, che dal 2015 a oggi non sono migliorate. Questo è un problema fondamentale e la politica del governo in questo ambito ha fallito.


opinioni diverse

Pronzini, si sta cercando in tutti i modi di contenere la spesa sanitaria. Che senso ha voler mantenere aperti, sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, i Pronto soccorso nelle valli come chiede la vostra iniziativa? Non sarebbe meglio concentrare forze e risorse nelle zone più popolate?

Pronzini: È un dato di fatto che andare al Pronto soccorso in Ticino è come fare una via crucis, con attese di ore prima di essere visitati. I cittadini di Biasca preferiscono andare ad Acquarossa rispetto a Bellinzona. E questo è solo un esempio. I Pronto soccorso sono la dimostrazione del fallimento delle politiche portate avanti a livello cantonale e federale sulla questione della salute. Un po’ ovunque questa offerta ha problemi e non è riducendo il loro numero che la situazione migliorerà. Questi ospedali di valle sono strutture che hanno sempre garantito cure di qualità e permettono anche di portare avanti una politica regionale.

Carobbio: Ero tra i proponenti dell’iniziativa per cure ospedaliere di prossimità, che aveva la formazione di medici di base come punto importante. Punto ripreso dal gruppo di lavoro e mi sembra quello all’iniziativa un buon controprogetto, che rafforza medicina di famiglia e copertura sette giorni su sette. Vanno anche favorite le reti di cura. Ci sarebbe pure la possibilità, data da una nuova legislazione federale, di fare anche progetti pilota, per esempio nella presa a carico di patologie croniche. Bisogna rafforzare la presenza dei medici sul territorio. Occorre quindi favorire la medicina integrata e la prevenzione. Anni fa il Ticino era tra i primi posti in questo settore, ora siamo scesi.

De Rosa: Pronzini attribuisce eccessive competenze al Dipartimento sanità e socialità (Dss, ndr). L’iniziativa è stata accolta su tutti i punti, tranne quello che chiede Pronto soccorso aperti per legge anche di notte. Con questa richiesta pretende qualcosa spropositato rispetto a quello che c’è ora, per un paziente ogni due notti. Nel controprogetto sono stati poi inseriti l’aspetto della formazione e la presenza di un medico responsabile per le strutture ospedaliere di Faido e Acquarossa. Nel complesso, Garantiamo quindi molto di più rispetto alla situazione attuale. Per quanto riguarda l’offerta notturna degli ospedali di valle, oggi il paziente viene accolto dal personale del reparto che fa un triage e se necessario chiama l’ambulanza o lo ricovera. E questo sarà garantito anche in futuro. Se però vogliamo aprire un Pronto soccorso dobbiamo avere materiale e personale per la medicina d’urgenza e questo quando hai un caso notturno ogni due giorni non permette di trovare il personale perché non è attrattivo, a prescindere dalla sostenibilità finanziaria.

Pronzini: Con la proposta del gruppo di lavoro si toglie il Pronto soccorso. Non è quello che chiedeva la popolazione attraverso l’iniziativa. Abbiamo il problema dei Pronto soccorso che non garantiranno la copertura di notte. Il problema di fondo è questo: un ospedale senza un Pronto soccorso che ti accoglie non è un ospedale. Daremo battaglia su questo, ci batteremo contro la chiusura dei reparti.

Negli ultimi anni sono comparsi sul territorio diversi centri medici, che offrono dei servizi diversi rispetto al ‘semplice’ studio medico. Non sono un nuovo generatore di spesa?

De Rosa: questi centri sono la risposta alle richieste dei nuovi medici, che vogliono avere una maggiore condivisione delle competenze e migliore conciliabilità famiglia-lavoro. Anche a vantaggio del paziente. Di principio non portano a un aumento della spesa. Quest’ultima cresce perché c’è uno scarso controllo da parte degli assicuratori.

Carobbio: Non è proprio così. I centri medici si dividono in due tipi. Ci sono le reti di cure integrate, che saranno il futuro. Dove lavorano medici ma anche altre figure professionali, ad esempio i fisioterapisti, e garantiscono una migliore presa a carico. Un tipo di servizio che va favorito, ma la legislazione federale in questo senso è bloccata. Poi ci sono dei centri medici che sono attività imprenditoriali, creati da persone che non sono medici o professionisti sanitari. E qui il rischio c’è. Senza una regolazione potrebbero venir offerte più prestazioni di quelle necessarie per far rendere la struttura.

Pronzini: Il problema è che oggi i centri medici che vanno per la maggiore sono proprio strutture fatte per avere profitto.

De Rosa, il censimento avviato recentemente per limitare il numero dei medici serve a verificare se vi sia un eccesso di prestazioni offerte?

De Rosa: L’operazione vuole andare in questa direzione. Occorre capire se si è sopra o sotto il livello di copertura necessaria. Ovviamente non si potranno chiudere gli studi, ma si agirà non concedendo nuove autorizzazioni.

Carobbio: È un’operazione utile, visto che almeno in quest’ambito la legge federale permetterà di mettere dei paletti se c’è un’offerta eccessiva. Meno incisiva è invece la legge cantonale per limitare il numero di apparecchiature mediche eccessivamente costose, manca infatti una base legale federale per ottenere più risultati.

De Rosa: La legge cantonale non ci permette in effetti di bloccare le autorizzazioni, ma almeno può favorire le sinergie. Se dalla stessa regione arrivano due richieste si può suggerire una collaborazione.

Questione dipartimenti, De Rosa è pronto a cedere il Dss a Marina Carobbio? E Marina Carobbio vorrebbe rilevarlo?

De Rosa: È una discussione prematura da fare ora, anche per rispetto a tutti i candidati e le candidate in corsa per un posto in governo. Sarà compito del Consiglio di Stato durante la sua prima seduta occuparsi di questo tema.

Carobbio: Sono d’accordo con De Rosa. Prima bisogna essere eletti, poi ci sarà un dibattito all’interno del governo. Fossi eletta, mi interesserebbero la Sanità e socialità, come anche i temi di competenza del Dipartimento educazione cultura e sport.

Pronzini, se non dovesse essere eletto in governo, chi preferirebbe vedere alla direzione del Dipartimento sanità e socialità?

Pronzini: La nostra è un’opposizione che non guarda in faccia a nessuno. Guardiamo all’operato e alla coerenza. Non abbiamo quindi preferenze.

Carobbio, il caso Unitas: fosse stata al posto di Manuele Bertoli, già direttore dell’Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana, avrebbe lasciato la riunione di governo durante la quale si è discusso dei risultati dell’audit?

Carobbio: Sarebbe stato opportuno che Bertoli non fosse stato presente alla discussione. In modo da evitare attacchi infondati o pretestuosi.

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