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Credit Suisse: il panico scema, ma i dubbi restano

Anche la piazza ticinese, sempre più piccola, s’interroga sul suo futuro. I clienti possono stare relativamente tranquilli, tremano i lavoratori

Le grandi banche hanno un peso notevole sul mercato e sugli impieghi
(Infografica: laRegione/Immagine: ti-press/Dati: Ustat)
21 marzo 2023
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“E adesso?” Il giorno dopo l’avventuroso salvataggio del Credit Suisse, la domanda si legge sulle labbra e negli sguardi di molti: impiegati di banca, clienti, analisti. Il dubbio tormenta anche la piazza finanziaria ticinese, già segnata dalle burrasche del passato prossimo, quelle internazionali come la crisi dei mutui subprime nel 2008 e quelle più nostrane, come la sospensione ‘manu militari’ della Banca della Svizzera italiana da parte della Finma nel 2016. Stavolta si direbbe che l’intervento di Ubs, con le spalle coperte dalla Banca nazionale svizzera e dal Consiglio federale, abbia evitato il peggio. Ma cosa possiamo aspettarci per il settore nelle settimane e nei mesi a venire?

‘Conti e ipoteche al sicuro’

Il direttore dell’Associazione bancaria ticinese (Abt) Franco Citterio ci tiene anzitutto a rassicurare: «I conti, le ipoteche e gli altri servizi presso Credit Suisse sono al sicuro. Le garanzie offerte da Ubs – una banca enorme, con grandi riserve e liquidità –, dalla Bns e dal Consiglio federale permettono alla clientela di stare tranquilli. Non ha quindi senso correre allo sportello per spostare i propri averi. Le banche continuano a operare regolarmente, mentre nei prossimi mesi si definirà un piano di confluenza della clientela del Credit Suisse in Ubs, come è successo nel caso di acquisizioni passate, in modalità che possiamo prevedere essere graduali, nel rispetto delle condizioni già stipulate». Niente panico, insomma.

Da zombie a mostro

Quanto alle possibili derive monopolistiche di un colosso da 5mila miliardi di patrimoni, qualche cruccio appare legittimo. Ieri la prima pagina della ‘Neue Zürcher Zeitung’ notava che “la Svizzera si è certamente sbarazzata di una banca zombie, ma si risveglia oggi con una banca mostro”. Una preoccupazione che serpeggia anche in Ticino, sebbene Citterio inviti a non esagerare. «È innegabile il fatto che Ubs e Credit Suisse rivestono un ruolo di primaria importanza anche in Ticino, costituendo quasi il 50% del mercato domestico tra conti, ipoteche, servizi a famiglie e imprese», riconosce il direttore dell’associazione che difende interessi e immagine della piazza finanziaria ticinese: «Sarebbe tuttavia esagerato paventare rischi monopolistici od oligopolistici, visto che in Ticino ci sono 37 istituti bancari e il cliente ha di fronte un ampio ventaglio di concorrenti per qualsiasi tipo di offerta, come riscontrato a livello nazionale dalla Finma (l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, ndr). Per quanto improvvisa, dunque, questa fusione appare sopportabile dal punto di vista del mercato ticinese, e non si prevedono grandi problemi per l’accesso al credito di famiglie e imprese».

Imprese e commerci chiedono continuità

Anche per il direttore della Camera di commercio Luca Albertoni la questione della posizione dominante resta in secondo piano: «Per noi a breve scadenza era prioritario che fosse garantita la continuità operativa. È chiaro che quando scompare un attore così importante sul mercato si apre una certa incertezza, anche se mi pare esagerato parlare di monopolio. Questi repentini cambiamenti possono far percepire qualche insicurezza sulle condizioni generali per l’economia e l’accesso al credito, ma è troppo presto per pronunciarsi».

Gli fa eco il direttore dell’Associazione industrie ticinesi Stefano Modenini: «Ci interessa anzitutto che le relazioni in essere tra Credit Suisse e imprese possano continuare senza difficoltà. Allo stato attuale non si direbbe che vi saranno problemi da questo punto di vista: la salvaguardia dell’istituto è stata importante proprio a tale scopo». Modenini, però, non si lascia sfuggire un’osservazione: «A tanti imprenditori dà fastidio sapere che trovandosi nella stessa situazione non riceverebbero i medesimi aiuti. D’altronde, con colossi finanziari d’importanza sistemica non ci sono tante alternative».

Il punto dolente resta l’impiego

Ma il punto davvero dolente resta quello dell’impiego. Domenica Natalia Ferrara, codirettrice dell’Associazione svizzera degli impiegati di banca (Asib), nell’invocare l’avvio di una task force ci aveva ricordato che dietro al futuro del nuovo colosso bancario ci sono «migliaia di persone la cui vita è appesa a un filo, dopo anni già difficili e turbolenti». Anni difficili e turbolenti, già: dal 2005 i consolidamenti e le chiusure hanno dimezzato a 37 gli istituti bancari operativi in Ticino, mentre dal 2011 a oggi il numero di addetti è sceso da quasi 7’600 a 5’500, un calo di quasi il 30%. Oggi il Credit Suisse impiega in Ticino circa 500 addetti, grosso modo quanto l’Ubs: il numero degli impiegati delle grandi banche si è a sua volta già dimezzato in una decina d’anni. Ora il rischio è che alcune posizioni giudicate ‘doppie’ vengano cancellate.

«È chiaro che nel corso dell’ultima dozzina di anni la contrazione dell’impiego sulla piazza finanziaria, in Ticino come nel resto della Svizzera, è stata notevole, anche se i dati non tengono conto di figure che non sono più conteggiate nel settore per ragioni statistiche, ma continuano a lavorare, ad esempio, per le imprese di supporto informatico ad esso correlate. Il calo è dunque da relativizzare nella misura di un terzo», precisa anzitutto Citterio, che però ammette: «Resta il fatto che questa crisi si innesta su un momento congiunturale difficile, per cui sarà complesso ricollocare chi perde il lavoro, tanto dentro il settore bancario quanto fuori, nonostante ad oggi valutazioni troppo nette risultino premature».

C’è anche qualche piccola speranza: «La diversificazione del settore e il mercato parabancario – fiduciarie, gestori patrimoniali, studi di consulenza – possono offrire delle opportunità per riassorbire almeno parte degli esuberi. Ci aspettiamo comunque che la responsabilità aziendale delle banche coinvolte consenta di discutere piani sociali accettabili con sindacati e dipendenti». Per il direttore di Abt «aiuta in un certo senso anche la posizione particolare del Ticino, che ha la peculiarità di essere aperto specificamente alla clientela italiana: una specificità nel portfolio e nelle relazioni che dovrebbe allentare un po’ la pressione sull’impiego rispetto a quanto si riscontra in questi casi a livello di ‘Stati generali’ delle rispettive banche, dove i doppioni rischiano di essere maggiori». Inoltre «notiamo che due terzi dei dipendenti di Ubs e Credit Suisse sono all’estero, e penso che molti dei tagli saranno appunto fuori dalla Svizzera, anche perché è lì – non sul mercato svizzero – che le attività di Credit Suisse si sono rivelate più deboli e secondo Ubs troppo rischiose. Ciò non toglie che l’impatto della crisi si sentirà anche qui da noi».

Col senno di poi

Viene pure da chiedersi se il tormentato passato della piazza finanziaria ticinese – con tutti i suoi scandali e i suoi terremoti – possa garantire una certa esperienza nella gestione delle crisi, o almeno aiutarci a leggere gli eventi di questi giorni nella giusta prospettiva. Citterio è prudente: «In passato, una fusione che ha toccato molto il Ticino – anche a livello di Stati generali e azionisti – e che quindi può darci qualche spunto di riflessione per il presente è stata quella tra Banca del Gottardo e Bsi (completata nel 2008, ndr) e poi la chiusura di Bsi (sciolta dopo la revoca dell’autorizzazione Finma nel 2016 e inglobata da Efg, ndr). Lì abbiamo visto una trasformazione che ha colpito duramente la piazza locale, sia a livello di potere decisionale che d’impiego. Oggi possiamo sperare che l’impatto sia meno grave, però bisogna aggiungere che stavolta si è assistito a un precipitare degli eventi che ha reso difficile pianificare la transizione, a differenza di quanto accaduto a metà anni Duemila, quando anche la riduzione del personale era stata spalmata su più anni. In ogni caso abbiamo sempre visto una certa attenzione nell’adozione delle giuste contromisure per contenere gli effetti sociali ed economici degli esuberi».

I dubbi dei fiduciari

Un’ultima domanda la rivolgiamo a Cristina Maderni, presidente della Federazione ticinese associazioni di fiduciari (Ftaf): cosa cambierà per chi deve gestire patrimoni, facendo spesso la spola tra clienti e istituzioni finanziarie? «È ancora presto per dire cosa cambierà: dobbiamo ancora conoscere e comprendere i passaggi attraverso i quali si concretizzerà questa fusione. Sappiamo però già adesso che avremo a che fare con una banca ancora più grande. Questo potrebbe a sua volta condurre alla centralizzazione di alcuni servizi e referenti oltre Gottardo». Il risultato: «I clienti di una piazza finanziaria un po’ più piccola come la nostra, bisognosi di una maggiore prossimità nella consulenza, potrebbero cercare referenti personali al di fuori di quanto offerto da strutture enormi. Tale necessità potrebbe a sua volta coincidere col bisogno di rivolgersi a gestori patrimoniali. Però, ribadisco, è ancora presto per fare previsioni nette: dobbiamo ancora capire come reagirà la clientela all’incertezza e agli scossoni borsistici di questi giorni».

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