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Pompe funebri tra scaramanzia e formazione

Intervista agli impresari chiassesi Mirella e Natan Mella. Per Delmenico il tema su un futuro apprendistato è importante

1 settembre 2023
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Ancora oggi la morte rimane un tabù, che spaventa. Soprattutto a fare paura è l’incertezza di non sapere come o quando si morirà. Di questo abbiamo parlato con Mirella e Natan Mella, impresari di pompe funebri dell’azienda Lorenzo Mella di Chiasso.

‘Siamo persone normali con una vita normale’

«In genere si tende a dimenticare che abbiamo una vita normale – tengono a precisare i due impresari –. Cosa spaventa? Il fatto che rappresenti una ditta di onoranze funebri, per cui ci vedono come la personificazione della morte, anche se – chiarisce Mirella Mella – siamo persone assolutamente comuni. Ormai però ci sono abituata, è una vita che lavoro in questo settore». Nonostante questa visione superstiziosa, riferisce Mirella «tante persone che mi conoscono bene e sanno che tipo sono, magari hanno anche avuto modo di vedermi all’opera facendomi i complimenti per il lavoro svolto e ammettendo che è una professione impegnativa che non proprio tutti possono svolgere». Mirella e il figlio garantiscono infatti la loro presenza h24, niente domeniche e niente vacanze. «Ci siamo sempre».

Dignità, sensibilità e professionalità

Questo tipo di lavoro richiede molta pazienza. Oltre alla preparazione della salma, c’è infatti la necessità di supportare la famiglia con sensibilità e umanità. Per questo motivo, la direttrice della casa funeraria chiassese definisce il suo mestiere come una missione. «A volte – racconta Mirella – non è facile confrontarsi con chi ha perso qualcuno. Ci sono tanti scenari diversi che bisogna saper gestire dignitosamente». Infatti, aggiunge Natan, questo lavoro ti permette di «renderti conto di cosa significhi aiutare le persone in un momento molto difficile e delicato, assumendosi un onere non indifferente, ma che dà grandi soddisfazioni».

‘Non ci si può permettere di lasciarsi andare’

Anche per chi lavora da tempo nel settore, non è sempre facile gestire le emozioni: «Mi è successo moltissime volte di prendermi cura di salme e famiglie a cui sono legata da un rapporto di amicizia. In questi casi anche per me è davvero dura e non ci si può permettere di lasciarsi andare». Per quale motivo? «In quel preciso istante tu sei lì in veste professionale – risponde l’impresaria –, in funzione di supporto della famiglia; e bisogna essere in grado di scindere l’amicizia dalla professione». Inoltre, vedere una persona a cui volevi bene nella bara non è mai facile. «Dobbiamo essere grati di quello che abbiamo avuto – spiega Natan – e non focalizzarci solo su quello che perdiamo».

Un mestiere ancora prettamente maschile

Nonostante i cinquant’anni trascorsi dalla fondazione della ditta da parte del padre di Mirella e nonno di Natan, quello dei ‘becchini’ è ancora visto come mestiere prettamente maschile. «Mi è capitato diverse volte, al momento del mio arrivo per il ritiro di una salma, di vedere gente storcere il naso in quanto sono donna. C’è voluto parecchio tempo affinché mi potessi integrare bene in questo settore. Quando è stato capito che, come donna, avevo una marcia in più per sensibilità e tatto, il mio lavoro ha cominciato a essere apprezzato e dura ancora adesso.»

Alla domanda se questo fosse il lavoro dei sogni, madre e figlio rispondono sorridendo, quasi all’unisono, dicendo di no. «Quando sei già nell’ambiente e cominci a conoscerlo inizi a prenderci confidenza. Oltretutto, essendo la nostra una ditta ben avviata, ti rendi conto dei sacrifici che sono stati fatti e gettare tutto all’aria sarebbe stato un gran peccato». Un altro fattore che influisce, spiega Natan, è che questo mestiere è «una responsabilità verso la comunità che ci conosce come impresa familiare e che si è sempre affidata a noi».

Oggi ancora non esiste una formazione scolastica

Per quanto riguarda il seguire una formazione per entrare a far parte del settore delle onoranze funebri, attualmente esiste un percorso, ma il tema fa molto discutere. Come ci spiega Mirella, «seguendo la filosofia ‘impara l’arte e mettila da parte’, devo la mia formazione a mio padre. Mi capitava spesso di andare a sbirciare e poi applicare quanto visto. Sostanzialmente mi sono formata da sola anche perché non esisteva una scuola».

Recentemente però è entrata in vigore una legge, valida solamente in Ticino, che impone l’ottenimento di un Attestato federale di capacità (Afc) per le onoranze funebri. Attestato che si ottiene seguendo una formazione suddivisa in tre corsi di due giornate nell’arco di quindici mesi Oltregottardo. Natan dovrà quindi frequentare il corso e ottenere l’attestato, affinché, in un prossimo futuro, possa prendere in mano le redini della ditta di famiglia.

Non esiste dunque un classico apprendistato che attesti delle capacità all’interno di una ditta di onoranze funebri, come per esempio la preparazione della salma, la gestione contabile o le relazioni con la clientela. «Sono sbagliati i presupposti – sostiene Natan –. È impossibile imparare quanto necessario in soli sei giorni, anche perché questa ‘scuola’, è diventata obbligatoria solo in Ticino». A sorprendere, aggiunge Natan, sono però «i requisiti di accesso, ovvero, essere già in possesso di un Afc e una comprovata attività di tre anni presso un’azienda del settore. Da qui le mie domande: perché dovrei già essere in possesso di un attestato? Forse la formazione proposta è insufficiente ? Perché non viene organizzata una formazione in Ticino? Mi sembra solo una questione economica visto che l’iscrizione al corso ha un costo molto elevato». A mente di Natan Mella, «se si volessero istituire dei corsi in Ticino, dove insegnare in modo serio e professionale questo mestiere, sarebbe un valore aggiunto per tutti, nuovi e vecchi del settore».

Ci sono le intenzioni ma non le risorse

Sul tema ‘formazione’ abbiamo interpellato anche Emiliano Delmenico, presidente della Società ticinese impresari onoranze funebri. «Questo della formazione – conferma –, è un tema tuttora caldo». Il presidente riferisce che «all’interno dell’Associazione stessa e della categoria, ci poniamo questo quesito sulla formazione. È una di quelle classiche situazioni in cui c’è bisogno di avere determinate risorse politiche, finanziarie e temporali affinché prenda avvio un progetto di questa portata». Delmenico spiega inoltre che «bisogna considerare che siamo una categoria piuttosto piccola dal punto di vista della forza contrattuale con il Cantone, cui sembra mancare la volontà politica di capire che questa è una professione in cui confluiscono aspetti importanti come quelli psicologici, sanitari e commerciali». Sulla legge che prevede l’ottenimento di un ‘diplomino di capacità’, cosa pensa Emiliano Delmenico? «L’Ufficio di sanità ha preso un po’ la palla al balzo, affermando che il diploma serve a dare un minimo di decoro e controllo – risponde in conclusione –. Però il dubbio sull’entità rimane; a cosa serve a una persona che ha lavorato per quarant’anni nel settore funerario andare a conseguire un diploma che attesti le sue capacità?».

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