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Se il Patriziato di Mezzovico-Vira ‘regala’ l'alpe Duragno

È ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione dell'assemblea che ha ratificato la convenzione ‘penalizzante’ con i promotori del parco solare alpino

L’area in rosso è in alta Val Duragno, dov’è previsto il parco solare
(Google Earth/Studio Basler & Hofmann-Supsi/Infografica laRegione)
13 febbraio 2024
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I conti ambientali e finanziari non tornano e ci sono violazioni formali nell’adozione della Convenzione stipulata tra il Patriziato di Mezzovico-Vira (che è il proprietario dell’ampio sedime) e la società promotrice dell’impianto solare alpino Monte Tamaro. A sostenerlo e a contestare la decisione adottata dall’assemblea patriziale è un cittadino, che ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, a nome e per conto dei Liberi pensatori della Carvina, un sodalizio composto da persone convinte che nella val Carvina siano già state eseguite troppe speculazioni, spesso vendute come opere a favore della comunità.

Accordo votato senza informazioni

A innescare le contestazioni tradotte nel ricorso, sono state le dichiarazioni del presidente del Patriziato di Mezzovico-Vira, il quale, durante l’assemblea riunitasi lo scorso 20 dicembre, non ha voluto rispondere ai dubbi e alle domande sollevate da alcuni patrizi. Non solo. Il materiale e le documentazione non sono stati messi a disposizione dei partecipanti, che quindi non hanno potuto consultarli in anticipo. L’ordine del giorno dell’assemblea e la richiesta di modificarlo non sono stati neanche messi in votazione, la trattanda relativa alla convenzione non è stata adottata come avrebbe dovuto essere eseguita, in base alla Legge organica comunale: non si è nemmeno considerato il rapporto della commissione della Gestione e la votazione non è stata fatta articolo per articolo, ma soltanto nel complesso.

‘Per un piatto di lenticchie’

Tuttavia, al di là di quelle che appaiono come irregolarità formali, nel merito, continua il nostro interlocutore, la Convenzione è decisamente sfavorevole al Patriziato. Se le informazioni fossero state messe a disposizione dei patrizi, probabilmente la trattanda non sarebbe mai passata, come una lettera alla Posta (di una volta). Il Patriziato, infatti, concede alla S’Rok Sa, peraltro iscritta a Registro di commercio come società di intermediazione finanziaria, l’ampio territorio di sua proprietà, pari circa a sette ettari a un’altitudine tra i 1’700 e il 1’850, in diritto di superficie per 30 anni. In cambio, il Patriziato riceve un indennizzo di 0,5 centesimi per ogni Kw prodotto, al minimo 60’000 franchi all’anno. Secondo il nostro interlocutore, “un piatto di lenticchie”, rispetto all’entità dell’ingente investimento, stimato in oltre 30 milioni di franchi.

Peggio ancora: nella convenzione non è stata inserita alcuna clausola di salvaguardia. Se il progetto, per qualche ragione, sfumasse o la società fallisse, sui terreni rimarrebbero gli oltre 17’000 moduli fotovoltaici posati su una struttura e lo smantellamento sarebbe a carico del Patriziato. Una smantellamento alquanto oneroso che, in base alla convenzione, potrebbe avvenire anche tra 30 anni, al termine del diritto di superficie. L’eliminazione dell’infrastruttura, che prima o poi sarà da fare, graverebbe in maniera pesante sul Patriziato. La convenzione, però, non prevede accantonamenti da parte dei promotori, solo un annunciato accantonamento di 40’000 franchi all’anno, evocato di fronte all’assemblea ma non formalizzato nero su bianco. Peraltro, l’onere di smantellamento sarà in ogni caso una condizione che occorrerà inserire nella procedura di autorizzazione.

Danni ambientali inevitabili

Nel merito del progetto, il ricorrente afferma che la realizzazione dell’impianto arrecherebbe un danno irreparabile (non solo al Patriziato) a livello ambientale nel territorio di montagna adibito a pascolo, all’alpe e alla sua storica destinazione agricola. Non solo. La valutazione preliminare, sbandierata all’assemblea come un primo via libera da parte del Cantone, in realtà mette in evidenza una serie di questioni in sospeso che andranno risolte. A cominciare dalla sorgente di acqua potabile e alle relative zone di protezione delle captazioni. La zona è considerata “esposta a scivolamento superficiale”. Gli effetti previsti dall’impianto sulla flora e sulla fauna dovranno essere oggetto di un approfondimento specifico nell’ambito di un rapporto d’impatto ambientale, che dovrà accompagnare la procedura di autorizzazione. Stesso discorso per quanto riguarda le specie animali presenti nel territorio. Nella valutazione preliminare viene sottolineato che la dimensione dell’impianto è decisamente considerevole rispetto agli edifici in cresta (antenna, edificio militare e capanna) o con quelli presenti nel versante a nord (zona turistica del Monte Tamaro, elettrodotto) e non può che risultare un “fuori scala”. Occorreranno pertanto una serie di misure di accompagnamento per favorire l’inserimento del parco solare nel paesaggio.

Come trasportare l’energia a valle?

Il progetto si situa inoltre un’area che presenta un’inclinazione superiore ai 30°, per cui costituisce una potenziale zona di distacco di valanghe. Bisognerà considerare un compenso a causa della sottrazione del territorio agricolo. Un aspetto questo mai evocato durante l’assemblea patriziale. Nel ricorso si solleva inoltre il problema legato al trasporto dell’energia, che inevitabilmente imporrà la costruzione di un nuovo elettrodotto, perché la conduttura sotterranea copre soltanto il 10% del tragitto per giungere a valle. Il nostro interlocutore teme che la prospettata strada agricola che il Patriziato vorrebbe costruire, dai monti di Legué fino all’Alpe Duragno, se realizzata possa essere usata per la manutenzione del parco solare.

Il ricorrente, che ha voluto rendere pubbliche le sue contestazioni, sostiene che il presidente del Patriziato, in quanto membro del Consiglio di amministrazione di una delle società della famiglia promotrice del progetto, sarebbe in conflitto di interessi.

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