Luganese

Dramma di Agno, ‘il papà sparò al figlio ma accidentalmente’

L'avvocata ha chiesto alla Corte una pena non superiore ai cinque anni di prigione per l'imputato, che si è scusato con la vittima e tutta la sua famiglia

Uno scorcio di via Aeroporto dove capitarono i fatti il 7 agosto 2022
(Ti-Press/Archivio)
8 febbraio 2024
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I fatti non si sono svolti come li ha illustrati la pubblica accusa. Il padre che sparò al figlio ad Agno nell’agosto 2022 non agì con spirito di vendetta, né con inaudita freddezza e determinazione. Ci sono inoltre altri elementi che non tornano nella narrazione proposta ieri alla prima giornata del processo dal procuratore generale sostituto Moreno Capella, che ha chiesto una pena di sette anni e mezzo di reclusione nei confronti dell'uomo alla sbarra. Secondo Letizia Vezzoni, l’avvocata dell’imputato oggi 51enne, l’uomo non voleva uccidere o ferire il figlio. Il colpo partì accidentalmente dall’arma mentre i due stavano lottando. Anche per queste ragioni, al termine della sua lunga e articolata arringa, la legale ha chiesto che il suo assistito venga condannato a una pena massima di cinque anni di reclusione dalla Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Mauro Ermani.

Situazione familiare ‘non salubre’

Nell’arringa, l’avvocata ha messo in evidenza le risultanze istruttorie per far emergere come, dal suo punto di vista, si è giunti ai fatti. Non ha evocato alcuna giustificazione, bensì ha ripercorso il difficile contesto familiare in cui hanno convissuto padre e figlio. Una situazione complicata da quando il figlio ha cominciato a consumare stupefacenti, talvolta anche assieme al papà. L’ambiente non è stato sicuramente salubre, né ideale per una famiglia, ha riconosciuto Vezzoni, che ha tuttavia negato quel quadro impietoso e inutilmente distruttivo della figura genitoriale, che ieri è stato tratteggiato dalla pubblica accusa. La legale ha riconosciuto che i rapporti familiari erano però disfunzionali, tanto che i due in passato si erano pure messi le mani addosso. Col passare degli anni, il contesto peggiora e il furto dei risparmi di una vita, commesso dal figlio qualche giorno prima dei fatti di Agno, nella casa della nonna, rappresenta simbolicamente uno schiaffo al padre.

Il furto alla nonna, elemento scatenante

Dal quel furto, l’imputato ha vissuto in uno stato d’animo disperato, come, peraltro, ha documentato la perizia psicologica agli atti. Una perizia che mostra come il padre sia sprofondato nello sconforto, in una condizione di esasperazione amplificata dalla sua dipendenza dalle droghe e dalla sua delusione legata alla percezione di incapacità delle forze dell’ordine di risolvere la questione al più presto, per recuperare il maltolto alla sua mamma (decine di migliaia di franchi), che altrimenti sarebbe scomparso, come successo. Come ha riportato il perito, il padre, in quei giorni, in uno stato di lucidità compromessa, ha sopravvalutato le sua capacità di sistemare la faccenda, sottovalutando, invece, i rischi e i pericoli legati al portare con sé l’arma, un fucile a canne mozze (calibro 22, ndr), che prese con l’intento di spaventare il figlio, che si attendeva di trovare con le altre persone con le quali aveva trascorso quei giorni.

Non due colpi, bensì uno solo

L'avvocata ha contestato la tesi sostenuta dalla pubblica accusa secondo la quale, quel giorno, l’imputato si sarebbe posizionato in un luogo strategico, in attesa del figlio. Il 51enne, invece, si è recato nel posto dove in passato aveva acquistato droga e non ha trovato subito il figlio. Lo ha visto e lo ha seguito. Se avesse voluto sparargli alle spalle, avrebbe potuto farlo, ma non lo ha fatto. Nella ricostruzione della difesa, quando i due si sono incontrati e il figlio ha detto al padre che i soldi della nonna, ormai non ci sono più, è cominciata una colluttazione tra i due. Una colluttazione durante la quale è partito accidentalmente il colpo di arma da fuoco. Non due colpi, bensì uno solo. Questo argomento è stato oggetto di replica da parte del procuratore generale sostituto Moreno Capella, che ha rimarcato il ritrovamento di due bossoli e come la perizia balistica abbia accertato due spari dall’arma.

Contestato anche il tentato omicidio

A conferma che lo sparo (o gli spari) non sarebbe stato intenzionale, agli occhi della difesa, ci sono i comportamenti dei due e le parole che si sono scambiati mentre sono stati accompagnati da una persona al Pronto soccorso. Per Vezzoni, alcuni elementi sono eloquenti e dimostrano che non si è realizzato il reato di tentato assassinio, che del resto nemmeno il pp ha sostenuto. Piuttosto, quanto successo dopo i fatti, prova che nemmeno reggerebbe l’accusa di tentato omicidio. A cominciare dall’abbandono dell’arma in via Aeroporto ad Agno da parte del padre, che non se ne preoccupa e anzi si è scusato con il figlio e lo ha accompagnato verso la conducente, che li ha condotti entrambi all’ospedale. La conducente ha inoltre affermato che il papà disse al figlio che non lo avrebbe denunciato per il furto alla nonna. Secondo Vezzoni, non c’è dunque alcun spirito di vendetta né inaudita freddezza, nell’azione dell’imputato. Tanto che la legale si è spinta fino a chiedere alla Corte di considerare piuttosto le ipotesi di reato di esposizione al pericolo della vita altrui e di lesioni colpose gravi.

Non voleva fare male a nessuno

In altre parole, l’imputato non ha mai avuto intenzione di fare del male al figlio, non avrebbe voluto ma il suo comportamento negligente, per aver portato con sé un'arma nemmeno senza la sicura, ha causato l’esplosione del colpo (o dei colpi), che ha ferito il giovane. L’avvocata ha chiesto alla Corte una riduzione sostanziale della pena richiesta alla pubblica accusa. Nell’eventualità che la Corte non ritenesse l’accidentalità dello sparo (o degli spari), Vezzoni ha chiesto di tenere in considerazione il disturbo della personalità che è stato accertato dal perito, la scemata responsabilità, la collaborazione dell’imputato e la sua disponibilità a sottoporsi a un trattamento ambulatoriale. L’avvocata ha inoltre detto che l’importo richiesto dall’accusatrice privata, a nome del figlio, è decisamente eccessivo (40’000 franchi) e non è supportato da documentazione. Secondo Vezzoni, si dovrebbero cercare altre strade nel tentativo di ricostruire una famiglia dalle macerie.

Dal canto suo, il 51enne, ha detto di avere tragici ricordi costanti dei fatti e ha voluto scusarsi con tutti, in particolare con il figlio, e con la sua famiglia. La sentenza è annunciata nel tardo pomeriggio.

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