Luganese

Con SwissAbility un sostegno concreto agli amputati in Africa

A Massagno si parlerà di persone che restano senza arti nel continente. Intervista a Nicole Rossi, direttrice regionale dell’associazione no profit

Le amputazioni non sono una priorità dei sistemi sanitari africani
27 novembre 2023
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Offrire un aiuto concreto alle persone che hanno subìto amputazioni in Africa. Questo, in estrema sintesi, lo scopo di SwissAbility: associazione con sede a Lugano-Pregassona nata circa un anno fa ma che ha già fatto molto e che tanto ha in serbo. A cominciare da un evento in programma il 3 dicembre al cinema Lux art house di Massagno in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità. Di questo, come delle attività dell’ente, abbiamo parlato con la direttrice regionale Nicole Rossi.

Un vasto problema che non è una priorità

«In Africa la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità è molto sentita – ci spiega –, perché l’amputazione di arti è una pratica molto diffusa. Pertanto abbiamo pensato che fosse importante parlarne anche in Ticino. Quindi abbiamo scelto di proiettare il film ‘Downstream to Kinshasa’, presentato due anni fa al Film Festival dei Diritti Umani». La pellicola tratta di alcuni sopravvissuti alla Guerra dei sei giorni. A causa di questo conflitto – svoltosi nel 2000 fra Uganda e Ruanda ma nel territorio della Repubblica Democratica del Congo – numerose persone hanno subìto delle amputazioni e nel film si racconta il loro viaggio verso la capitale Kinshasa per reclamare i propri diritti. «È un film molto interessante, perché è un ritratto molto fedele di quello che vivono le persone affette da disabilità in Africa, dove questi handicap non sono una priorità dal punto di vista sanitario. Per questo motivo, fra le altre cose, manca una rete di sostegno per queste persone».

Dalla strumentazione alla formazione

Quindi è un ambito nel quale c’è molto da fare? «Tantissimo. Basti pensare che in interi Paesi, ad esempio in Sierra Leone, può esserci una sola persona che ha studiato da tecnico ortopedico. La maggior parte delle persone che lavorano nei centri ortopedici hanno imparato il mestiere osservando, ma senza conseguire una formazione. E i centri stessi in ogni caso sono pochissimi. A tal proposito, abbiamo in progetto la costruzione di un centro ortopedico nella tormentata regione della Casamance, in Senegal. Le persone amputate potevano recarsi nella vicina Guinea Bissau, aderendo a un progetto della Croce Rossa, che però nel frattempo si è concluso. E quindi l’unica opzione è la capitale Dakar, che è lontana. Un altro campo nel quale siamo attivi è la formazione dei tecnici ortopedici alle nuove tecnologie operative e che siano al contempo a basso costo, un fattore molto importante». E poi c’è il rifornimento di strumenti: «Portiamo i materiali necessari per la costruzione di protesi di gambe e braccia, come anche mezzi ausiliari (come ad esempio le carrozzelle, ndr). Puntiamo su materiali che siano a basso costo, affinché si possano realizzare protesi al costo totale di 100 franchi l’una. La nostra strategia prevede l’aiuto all’avvio delle attività, nella speranza che pian piano queste diventino autosufficienti e si procurino autonomamente i materiali di produzione. È una sfida».

‘Per raggiungere gli ospedali ci vogliono anche tre o quattro giorni’

A proposito di sfide, il problema delle persone amputate e non adeguatamente seguite in Africa è ampio? «Vastissimo. C’è una parte rilevante di persone che subisce amputazioni a causa delle guerre e delle mine antiuomo, una parte importante come conseguenza di incidenti stradali e di altro genere. Anche incidenti banali, come ad esempio cadute o infortuni ma per i quali da noi in Svizzera l’amputazione magari non si renderebbe necessaria. Lì invece purtroppo c’è il fattore prossimità: da alcuni villaggi le strutture sanitarie possono essere distanziate anche tre o quattro giorni di viaggio. E poi c’è il fattore costo, gli ospedali costano e quindi ci si affida ai curatori tradizionali, con conseguenze nefaste. Infine, una fetta crescente di persone subisce l’amputazione degli arti a causa del diabete, un problema sempre maggiore in Africa destinato a diventare un’emergenza. Infatti un progetto che mi piacerebbe sviluppare in futuro è legato all’educazione alimentare. Ma al momento siamo troppo piccoli per attuarlo». Non è l’unico sogno nel cassetto di SwissAbility: «Un altro obiettivo che ci siamo posti è che nei centri ortopedici vengano impiegate, nel limite delle loro possibilità, persone amputate. La scorsa estate in Gambia ho visitato un centro gestito da una Ong inglese che lavora su questo modello e ci sembra una scelta vincente».

‘Sommersi dalle richieste’

L’evento del 3 dicembre prenderà avvio alle 15 e la proiezione sarà seguita dal dibattito ‘Difficoltà e sfide delle persone affette da disabilità, dal Sud del mondo alla Svizzera’ e, fino alle 19.30, da un ricco aperitivo. Un’occasione, per la giovane associazione no profit, anche per presentarsi. «Per ora siamo solo in tre, e anche se esistiamo da poco abbiamo in realtà alle spalle una lunga esperienza in ambito di cooperazione internazionale allo sviluppo» precisa Rossi, sottolineando come il lavoro e le idee non manchino. «Non abbiamo personale espatriato, ci avvaliamo quindi di partner locali e ci attiviamo su chiamata. Al momento abbiamo dei progetti in Sierra Leone, Ghana, Senegal e Mozambico. Per l’anno prossimo stiamo già progettando attività in Tanzania, Uganda, Benin e Malawi. Siamo sommersi di richieste, proprio perché la riabilitazione ortopedica non è una priorità nei fragili sistemi sanitari africani». Per informazioni, oltre che per sostenere l’operato di SwissAbility, visitare il sito www.swiss-ability.org o scrivere a n.rossi@swiss-ability.org.

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